COMPASSIONE, AMORE, DANZA

La compassione, nel buddhismo, è comunione e amore disinteressato.

Il buddhismo mahayana, il ‘grande veicolo’, si distingue dal buddhismo hinayana, il ‘piccolo veicolo’, per un tratto in particolare: la figura del bodhisattva. Questo è un illuminato che rinuncia momentaneamente alla sua ascesa nel nirvana per rimanere tra gli uomini. È l’esempio più toccante della declinazione buddhista di compassione.

La nostra tradizione culturale ci insegna che avere compassione vuol dire provare pietà per qualcuno: quindi o umanitarismo o elemosina, che rimarcano una differenza. La compassione insegnata dai buddisti, invece, sembra più fedele all’etimologia della parola: cum ‘insieme’ patior ‘soffrire’. È uno dei legami più profondi che si possa stabilire tra esseri viventi.

Se si pensa che un monaco tibetano sopravvive esclusivamente grazie alle donazioni dei fedeli, si può capire quanto sia importante l’equilibrio naturale anche per chi sceglie di star lontano dalla mondanità. Quando un gruppo di monaci agisce sul mondo attraverso delle danze sacre (cham) per la fertilità, lo fa perché proietta su se stesso la sofferenza che causerebbe la carestia e la felicità che arrecherebbe l’abbondanza.

I monaci vogliono fornire i mezzi con i quali noi possiamo continuamente aiutare noi stessi, in un rimando alla dimensione più alta della consapevolezza umana, cioè che tutto è collegato.

Assistere a questi atti affascinanti, com’è affascinante una magia alimentata dal mistero della fede, ci riporta in un mondo ripulito dalle pulsioni egoistiche. Alle 21 al teatro Carignano, Torino Spiritualità ci darà la possibilità di essere presenti quando i monaci tibetani del monastero di Tashi Lhunpo porteranno in scena le danze di una spiritualità antica, che affonda le sue radici nella forma più pura di amore per gli altri: la compassione.

Carola Astarte