#TOSP2015_MANCANZA. DI STELLE
Per definirci come esseri umani partiamo non da ciò che abbiamo e possiamo contare. Nelle tasche, nella borsa, in casa, nella libreria, tra gli oggetti che ci ricordano presenze. O assenze. Con tre scrittori parliamo invece di ciò che ci manca. Ciò che ci rende imperfetti, ma perfettibili. Il vuoto che ci portiamo dentro ma che possiamo vedere anche alzando lo sguardo da noi stessi. Il nostro essere profondamente incompiuti, l’incompletezza che ha fatto dire a Schopenhauer che la vita è sofferenza, proprio perché si fonda sulla voluntas, sul desiderio inestinguibile di completezza. Desiderio impossibile da appagare.
Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella. Desiderare significa, quindi, letteralmente, “mancanza di stelle”.
Mauro Covacich e Philippe Forest pensano alla scrittura come tentativo di indagare questo senso originario di mancanza. Di dare colore e voce al vuoto che abita ognuno di noi. Perché la mancanza può assumere le forme più diverse: è bisogno, è nostalgia, è assenza è perdita. In una parola è distanza.
La distanza insoddisfatta dall’ideale che abbiamo di noi stessi (per Mauro Covacich), o la distanza estrema e irrevocabile della morte e del lutto, che è il fulcro della narrativa di Philippe Forest.
Per entrambi la letteratura non salva né redime, ma può comunque farsi testimonianza dello sforzo inesausto di conoscere il paradosso della nostra condizione umana, sospesa – come direbbe Sartre – fra l’essere e il nulla.
Anthea Grassano
La canzone che vi suggeriamo è questa, per forza: