#ToSp2015_UBUNTU
Ubuntu è reciprocità. È la capacità di relazionarsi con il prossimo attraverso il rispetto e l’empatia, nella consapevolezza della nostra necessaria interdipendenza.
Ma il prossimo non è solo l’Altro che viene da Fuori, il profugo o il migrante che popola le pagine dei nostri quotidiani e invade i nostri schermi televisivi all’ora dei pasti; è anche quell’Altro – spesso dimenticato – che la società relega ai propri margini come scarto di sistema o come agente patogeno da espellere: il detenuto. Alessandro Ciquera, co-fondatore insieme a Juri Nervo dell’Eremo del Silenzio di Torino (luogo di raccoglimento e preghiera creato presso la struttura dell’ex carcere Le Nuove) propone di superare la concezione esclusivamente punitiva del penitenziario, così come anche l’idea di rieducazione forzata/coatta. Occorre invece trasformare lo strumento detentivo in un processo di reinvestimento, ovvero in un percorso di formazione finalizzato non solo al reinserimento operativo dell’individuo nella collettività – attraverso la prassi del lavoro in carcere – ma anche a una sua consapevole maturazione. E per farlo occorre prima di tutto restituire al detenuto la sua dignità di persona, concedergli il privilegio del dialogo e provare a comprendere le ragioni della sua colpa senza per questo giustificarne l’azione. L’ubuntu è anche questo, aprirsi all’Altro nella dimensione dell’incontro, dello sguardo e dell’ascolto: essere disposti a vedere e riconoscere l’uomo dietro l’errore commesso, e ad ascoltare la storia, il bagaglio di vita, che porta con sé. Perché come dice Alessandro, non esiste “l’assassino”, esiste solo “una persona che ha ucciso”: ogni categorizzazione equivale a un’identificazione reificante e mortificante, poiché esclude a priori la fiducia in un cambiamento o in una redenzione possibile. Bisogna ricordare che il crimine non si riduce mai, semplicemente, all’atto isolato del singolo, ma è sempre sintomo di un disagio o di una corresponsabilità sociale più ampia; ogni crimine provoca una lacerazione nel tessuto sociale che, come ogni ferita, necessita di Cura per rimarginarsi. E l’Ubuntu, come sa bene il Sud-Africa post-Apartheid, è prima di tutto riconciliazione.
Anthea Grassano