#TIKONSERVO. racconti d’estate

Ormai siamo in autunno e la bella stagione sembra lontanissima.
Ma non lo è, almeno nei ricordi. Per di qua o per di là, amori fugaci (o no), incontri inaspettati, amici ritrovati al mare, montagna o città. Quale istantanea della tua estate vuoi conservare?

Qualcuno di voi ce l’ha già raccontato, a noi del Circolo e a Cuki, in massimo 800 battute (spazi inclusi).
Trovate i racconti qui sotto, uno per ciascun sapore estivo.
Poi, i tre più “gustosi” li pubblichiamo sul programma cartaceo del Circolo (a novembre).


 

LADRO DI WAFER

di Andrea Mauri

Sono venuto con l’intenzione di confessarti dopo trent’anni che ero io a rubare i wafer al cioccolato dalla dispensa durante le partite in tv. Speravo che tu fossi un vero tifoso. Non ti saresti accorto delle mie fughe in cucina. Occorreva decidere in fretta. Pacchetto rosso o blu? Cioccolato fondente o al latte? Afferravo sempre il pacchetto rosso. Di quello blu ne rimaneva uno solo e mi avresti scoperto.
Volevo confessartelo oggi e chiederti se ti eri accorto che mio padre tremava di amore accanto a tua madre. Invece abbiamo fatto finta di non sapere perché ci siamo persi di vista. Io non ti ho dimenticato. A casa di amici continuo a fare incursioni proibite nella dispensa. Mi accontento di cioccolatini insulsi, perché quei wafer al cioccolato non li producono più.



MONOLOGO D’AMORE

di Melissa Berardi

1950. L’estate era caldissima e, come se non bastasse quel caldo, avevo un calore anche dentro di me. Una sera, una di quelle poche che si poteva uscire, mi ritrovai con un’amica, c’era anche un ragazzo bellissimo e i miei occhi caddero su di lui. Non ce la feci a non pensarlo tutta la notte, non sapevo fosse un amore che non avrebbe avuto un fine.
Un giorno lo incrociai di nuovo: dovevo chiedergli il suo nome e da dove venisse, almeno. Era di Milano, si chiamava Christian, aveva due anni in più di me. Da quel momento i nostri cuori non si sarebbero separati mai e nulla avrebbe avuto fine. Dopo l’estate mi trasferii a Milano per studiare e lo incontrai all’Università, era destino che il nostro amore dovesse crescere. Così nacque una grande storia d’amore, e così, dall’amore mio e di tuo padre, arrivasti tu.


RIMPIANTO

di Nicole Marinú

Sono passati quattordici anni, ero piccola quando te ne sei andata e i miei ricordi, da quel momento, sono confusi e influenzati dai racconti di famiglia e dalle foto, le poche, che ho di te.
Ricordo gli occhiali appannati dai vapori della cucina. Eri una grande cuoca, il tuo sugo di pomodoro è rimasto inimitato, nessuno in famiglia è più riuscito a farlo come il tuo. Quando ti penso provo un senso di vuoto per quello che non abbiamo potuto vivere insieme. L’ultimo mio ricordo nitido è legato ad una stanza d’ospedale: avevano appena portato il pranzo e tu, di nascosto, mi hai dato una fettina del tuo prosciutto.
Avrei voluto più tempo con te, più ricordi. Sarei venuta a trovarti la domenica, avrei dormito con te nel lettone e, in settimana, ti avrei telefonato e inviato foto e messaggi. Sappi comunque, nonna Caterina, che qui ci sono ancora tante persone che ti pensano. E una di queste sono io.


DIMENTICA L’ESTATE

di Alessia Adiletta

Oramai la morte era diventata un abitudine per noi. In Libia la gente veniva uccisa ogni giorno e chi si incontrava oggi non si rivedeva più domani. Le scelte erano due: o morivi o emigravi, semplice. Conobbi Rashid nell’estate del 2007 e da quel giorno diventò il mio migliore amico. Mi ero abituata alla guerra tanto quanto mi ero abituata a vedere Rashid sotto la porta di casa. L’estate di quell’anno, però, sarebbe stata diversa. Non sarei andata al mare come tutti, non sarei uscita con le mie amiche nè avrei visto Rashid. No. Sarei emigrata in un nuovo paese e avrei vissuto una nuova vita. Una nuova vita senza di lui.

Il 26 luglio 2015, mentre stavamo per raggiungere le coste della Grecia, l’imbarcazione si ribaltò e Rashid era troppo preso nel salvare la mia vita che si dimenticò la sua. Per non dimenticare chi come me, non ha passato la solita estate.


 JACK

di Maria Grazia Giannone

Io non conservo, uso e se conservo non è per serbare, ma perchè ne ho d’avanzo e perchè ho preso oppure fatto tanto. E non amo buttare, neppure gli scarti.
Tengo con me anche te, Jack, mio disperato, povero gatto cieco incapace di attraversare un muretto e seguire la cucciolata. Ti ho preso d’estate, sapendo che non ti avrei tenuto, che non avrei potuto, che avrei dovuto portarti nella casa dei miei, darti da mangiare del loro e gestirne la gelosia e l’invadenza, il reclamare dei loro diritti contro di te, piccolo intruso.
Ti conservo perchè ti ho salvato quel giorno che tu hai salvato me. Conservo in te l’accoglienza di un essere diverso, sporco, malato e affamato che non parla come me, non mangia come me e che mi ha condotto a sè con un unico sentimento d’impeto violento, come l’acqua che prepotente sale agli occhi.


 

INFINITO SALUTO

di Vincenza Davino

Un ultimo scampolo di estate da raccontare alle stelle luminose, alla luna dai mille volti ora taglienti come una falce luminosa, ora un’unghia sottile e ballerina tra le nuvole, ora spumosa come un’onda.
Lunghe notti d’estate dentro i miei respiri, avvolte nella luce d’argento della luna, tra il buio fitto e puntellato di stelle, coperto da mille ombre. Giornate lunghe e calde, dove una lieve pioggia cancella l’afa che copre i corpi sudati. Estate amica che avanza intrepida e si distacca dai miei occhi per regalarmi luce e aria.
Estate da vivere e ricordare e da guardare ancora, oltre quel mare azzurro che si staglia all’orizzonte, oltre ogni sguardo, ogni respiro. All’estate stamane va il mio infinito saluto e all’alba che si apre serena tra rivoli di pioggia il mio sorriso.



INCANTO

di Alda Invernizzi

Estate uguale vacanze, uguale mare o montagna, uguale viaggi. Oppure, a volte, uguale città e casa. Complice la necessità di non lasciare solo il mio arzillo ma anziano papà, ho trascorso il mese d’agosto senza allontanarmi. Temevo di essere assalita dalla noia totale, quello stato di abbrutimento che ti inonda e pervade corpo e anima: già mi vedevo triste e malinconica a invidiare l’estate degli altri. Perché l’estate degli altri è sempre spumeggiante e abbronzata. Invece mi sono dovuta ricredere. Agosto è stato un mese fantastico. Certo, mi sono attrezzata. Ho letto pile di libri che aspettavano ansiosi di essere divorati, ho sperimentato ricette sfiziose, ho inventato bibite dissetanti e – magia – ho conosciuto le passeggiate serali. Quando il caldo si affievoliva e la luce del giorno si tingeva di quel colore strano che somiglia all’imbrunire ma ancora non lo è, sono uscita a camminare. Senza programmi, senza meta. Senza ansia, senza parole. Incanto.


INSIEME

di Paola Rao

Pizzolungo, 8 Luglio 2015.
Vento di Scirocco, aria bollente, una piscina di acqua salata davanti a noi. Tuffi, amici, risate. Un brindisi per ricordarci che siamo ancora insieme, nonostante tutto. Nonostante la vita ci porti continuamente su strade diverse, quel pomeriggio, quella piccola baia, il caldo sole e l’acqua rinfrescante non possono che farci sentire a casa. Porto sicuro e riparo. Estasi e relax. All’orizzonte una barchetta galleggia su quel mare così limpido. Il sole comincia a calare. I colori si fondono e danno un senso di pace. Il giorno volge al termine, ma noi siamo certi che tra un anno saremo di nuovo lì, di nuovo insieme, per vivere emozioni nuove.


TAVOLIERE

di Valentina Ciannamea

In sella alla nostra Vespa 125 anno ’83, attraversiamo il Tavoliere tra auto che sfrecciano accanto, camion che strombazzano, stoppie che bruciano nei campi, croci coi fiori, distese di pomodori che si alternano agli ulivi che si alternano ai vigneti. Pale eoliche, pannelli solari, masserie diroccate, roulotte abitate, rifiuti abbandonati, ciclisti attrezzati. Donne nere, bionde, tinte, nude, belle, all’ombra di un albero o di un ombrellone, mangiano una fetta d’anguria o alzano la testa al nostro passaggio. Imprimo nella mente tutto questo e mi ricordo di un concorso che giudicò senza emozioni un mio racconto fatto a elenco. Ci fermiamo a una piazzola, prendo il cellulare, poi Antonio mi dice: “Valenti’ smettila di fare le foto, c’è una puttana lì col suo cliente”. E ci rimettiamo in moto.


IN RIVA AL MARE

di Selenia Grossi

Quello che ricordo del mio papà a mare sono i suoi piedi nelle infradito rosse: una vita passata in mezzo al mare e per il mare, la spiaggia gli stava troppo stretta. Lui il mare voleva viverlo da protagonista, non da spettatore. Quello che ricordo di mia mamma a mare è l’ombrellone con le mimose e la sdraio all’ombra: il mare è sempre stato per il bene dei figli. Quello che conservo di questa estate è una fotografia del cuore: Lui e Lei che passeggiano sul bagnasciuga, lei che si appoggia al suo braccio, il passo è malfermo, colpa di un’anca ballerina e qualche chilo di troppo; lui che le sta accanto, la sostiene, accompagna i suoi passi accordandosi alla sua andatura, senza fretta, con pazienza. Ritrovarsi a 70 anni in riva al mare, quel mare che per 40 li ha tenuti lontani, insieme.


 

EQUILIBRIO

di Krizia Ribotta

Avrei voluto scattare quella Polaroid di cui aveva tanto insistito, e a cui avevo sempre detto di no. I momenti felici vanno immortalati sempre, anche se c’è la luce sbagliata o il trucco sbagliato. L’ho capito solo ora, a fine estate, proprio ora, che avrei voglia di dirgli: “Fotografami adesso, inquadra questa mia nuova forza che ho dentro, che mi ha portata a tornare, tornare per restare”. Qui, dove anche l’acqua e il fuoco sembrano aver trovato il loro equilibrio: d’altronde, è il fuoco a scaldare l’acqua ed è l’acqua a domare il fuoco…


 

PARCO DEL ŁAZIENKI 

di Stefania

Da qui dovrei cominciare: il parco del Łazienki con un’infinità di scoiattoli e l’Agosto che pareva assopirsi alle sei di sera, la lettera che ti ho scritto dalla panchina, i miei pensieri per te lontano e scostante.
Amo l’autunno, mi dico che il mio tempo ricomincia sempre da qui. Almeno posso credere che la forma che ha preso la mia vita mi lasci come cadere nel bel mezzo del mio principio. Possibile? Un mese continentale a Varsavia e il finire di Settembre per questa consapevolezza.
Sintetizzare la mia estate in un’immagine, questo è il gioco: non il Łazienki, ma io e te seduti per terra alla stazione, al mio ritorno. Sentivo di amarti e di amare anche la tua confusione. Perché non posso semplicemente dire anch’io “è finita”? Potrei davvero rassegnarmi che dopo un amore ne verrà un altro?


LO SDRAIATO

di Gianluca Giraudo

Riposa il ragazzo, con gli occhiali appoggiati su una pila di blister con nomi che finiscono per x, ed è come se la sua vacanza fosse lì: l’allegria accorta del paesino di mare, l’acqua che fa venire la pelle d’oca non appena la sfiori col piede, il sole caldo che non scotta mai, le gare a chi finisce prima il frappè ed è vietato vincere schiacciando la cannuccia dell’altro fra le dita, i lampioni che rilasciano luce che pian piano diventa alba che sicuramente non verrà guardata in solitudine. Guarda la tv e chiude gli occhi il ragazzo, vivendo quell’estate quasi più lunga e strana dell’inverno che l’aveva preceduta e alla fine pensa che di corsa o sdraiate, al sapore di salsedine o Tachipirina, vissute o immaginate, le vacanze sono sempre vacanze. Buon divertimento, malatino.

 


 

C’ERA UNA VOLTA

di Fabiana Marzotto

C’era una volta una bolla di sapone così grande e così bella da contenere una spiaggia incantata, un cielo azzurro, tanti pedalò messi in fila e una serie di personaggi fantastici.
Gastone, un simpatico bulldog francese corvino che ammira, con occhi innamorati e purtroppo non ricambiato, la candida barboncina dell’ombrellone accanto.
Il cavaliere Lamberto che, in calzoncini e in compagnia di bellissime dame (come la fatina Giada), fa ballare a ritmo di musica anche i più pigri.
I folletti romagnoli che, quando giunge la sera, escono alla scoperto diffondendo musica e tingendo d’oro l’oscurità che avvolge il mare.
Immersi in questo mondo, non si vede arrivare l’uomo nero che, puntuale e a bordo di una bicicletta, soffia sulla bolla di sapone e ricorda che è ora di tornare a casa.


AMORE

di Silvana Gavazza

E’ stata molto diversa da tutte quelle precedenti, fatte di mare, nipoti, feste paesane, serate in gelateria, abiti bianchi e abbronzatura.
La mia estate è stata soffocante tra le mura della casa in città, con le finestre aperte su mondo di rumori e caldo.
La mia estate sarà indimenticabile, non so se ne avrò un’altra così, è stata l’estate in cui l’amore per il mio uomo gravemente malato è esploso nella sua interezza e verità, in cui stringendoci le mani abbiamo ricordato quanto la vita ci avesse regalato e quanto avremmo ancora desiderato fare e dare e darci reciprocamente.
Non esistono stagioni, non esiste tempo, esiste l’Amore che se c’è riesce ad illuminare tutto anche la realtà più triste.


RITORNO

di Rosita Panetta

Lo scooter sfrecciava in mezzo al traffico. Il vento mi spettinava i capelli anche con il casco. Direzione il parco fluviale del Po. La moto sembrava volare, non dovevo far altro che godere del sole e di quelle due ore di libertà regalate.
La mia mente torna indietro a quando, con gli amici, si percorrevano le stradine della collina gioiosana, circondate da fichi d’india, ulivi e muri a secco, per raggiungere il mare.
Il gelsomino, profumava l’aria. E noi ci sentivamo pieni di speranza per il futuro. E la strada pareva non finire mai, tanto il sole ci riempiva occhi e cuore. Ed iniziavano i primi amori.
Ci fermiamo, e dal ponte vecchio di San Mauro, mi perdo nell’infuocato tramonto cittadino che colora il fiume, e la Mole svetta sulla città, che al crepuscolo diventa ancora più affascinante.


CAMPI DI FRAGOLE SCOZZESI NEL 1978

di Teresio Asola

12 luglio ‘78. A Parigi stringo la mano di Fulvia. Un’orchestrina suona fino alle cinque. Sul locale per Dundee si parla poco. I gabbiani gemono. «Malinconici» dice Fulvia.
Primo venerdì di paga, 51 sterline. Al pub per una pinta, poi discoteca: Rivers of Babylon e Brown Girl in the Ring con Fulvia, le cingo la spalla. Usciamo, soli, mentre il sole si adagia pigro.
Già alle quattro il sole s’infila nei finestrini dei container. Con me un compagno di classe, un gallese (Ian) cicciottello e un marocchino secco (Alim); con Fulvia due compagne di classe e la sorella di Ian. Alle sette nei campi o a vagliare fragole e lamponi, mezzogiorno panini, il bucato nel vento, lavoro fino alle cinque, doccia in baracca e cena con semolino e marmellata di rabarbaro. Dopo, io e lei al post office per un dolce, da Iannarelli per un fish and chips, sotto sole e pioggia. Autostop per Glamis fra sussurri di foglie, nebbia e cornamuse, o alle conchiglie rosa di Montrose. «Lassie, you’re bonnie!» le dice un automobilista. A Perth e Aberdeen, tirati su da un palombaro di una piattaforma petrolifera. Tè e biscotti in tea-room, e Hotel California. Da Glasgow a Gourock, due anziani con cani bianchi e neri della pubblicità del whisky. A Oban dormiamo sulla panchina, aspettando l’aurora. E Inverness, fra le eriche viola del Royal Deeside.
A Notre Dame le stringo la mano. Recitiamo una preghiera.


LIBERTÀ

di Alberto Formichella

Nell’arco della stessa giornata mi sono trovato davanti all’ultimo lembo di terra utile prima dell’oceano e poi in aeroporto. Ed è straniante…
Ma lo è ancor di più aver percorso 900km a piedi per raggiungere quel lembo di terra impiegandoci un mese e rendersi conto poi di poter ripercorrere a ritroso la stessa strada in meno di due ore grazie ad un aereo.
Benedirò il mezzo che mi riporterà a casa dai miei affetti così velocemente ma un po’ mi sembra lo stesso uno stupro.
Quei km e quel tempo sono tra le cose più straordinarie e preziose che mi siano state regalate e non potevano che essere vissute così, senza scorciatoie.
Attraversando quello spazio e quel tempo passo dopo passo.
Avrei perso gli incontri. I paesaggi. Le riflessioni.
Le lacrime nascoste dalla pioggia e le risate offerte al vento al sole e alle stelle.
Lingue straniere che si fondono in una Babele al contrario.
Un dolore che finisce col diventarti amico dettandoti il giusto passo.
La speranza, lo sconforto, la solitudine e la conquista.
Tutte e 4 le stagioni.
La semplicità.
La condivisione.
Il far pace con se stessi. La storia. La religione. La spiritualità. La goliardia.
L’oro delle cattedrali. Le piccole chiese quasi abbandonate.
Le fasi della vita sintetizzate in un lungo percorso.
Una vita che, a volerlo, può stare tutta in otto chili di zaino, due scarpe e un cuore.
La volontà. Le motivazioni. La speranza. La libertà.
La libertà.

 


BUON VIAGGIO

di Cristina Bianco

Quest’estate è stata molte cose, il sole, le feste, gli amici. Ma il viaggio, questo è ciò che per me definisce l’estate. E quest’anno è stato in Olanda. Olanda, terra di tutti e di nessuno; in due settimane ho visto, assaggiato, incrociato le vite di molte altre persone. Per due settimane ho abbandonato le mie solite abitudini, basta studio e basta dieta, basta pigrizia e basta sedentarietà.
Prima di metterci piede, l’Olanda non sapevo neanche come immaginarmela, e per fortuna. È stata una vera sorpresa scoprirla così ricca di contrasti: da una parte i colori pastello di mare, cielo, prati, fiori, animali al pascolo; dall’altra le vivide tonalità di città brulicanti di gente, luci notturne, porti ricchi di grandi navi.
E allora no, no alle ferie di puro relax, ma sì alla fatica del viaggio.


NEFELOMANZIA

di Andrea Siviero

Ho cercato di fermare il rapido svanire delle nuvole dal rettangolo di cielo che vedo dalla mia stanza; ho cercato di fermarlo in una Polaroid che ho nascosto nel portafogli. Penso che la mia estate sia queste nuvole effimere, imprevedibili e in balìa del vento.
Mi piacerebbe poter osservare la mia vita come osservo le nuvole: vorrei vedere che cosa sarà fra poco. Sarà come quella nuvola che prima era una massa irregolare e poi si è trasformata in una colomba con le ali spiegate? O rimarrà per sempre una massa irregolare, grigia, adombrata dalle nuvole che sono sopra di essa e che non posso vedere? Non lo saprò mai. Posso solo conservare il momento in una fotografia che ritroverò in inverno, quando mi meraviglierò per aver conservato l’estate in un portafogli.


SOGNO

di Serena Mantovani

Piove e fa freddo … l’estate ormai è finita … il caldo afoso, l’odore della crema solare e del sale marino ormai sono solo dei ricordi …in mente ho ancora questo ritornello “L’estate addosso bellissima e crudele le stelle se le guardi non vogliono cadere l’anello è sulla spiaggia tra un mare di lattine la protezione zero spalmata sopra il cuore” … Stanotte ho fatto un sogno … qualcuno mi prendeva una mano e mi sussurrava all’orecchio di non preoccuparmi perché la vita è meravigliosa anche se è piena di problemi e che se avrò bisogno di aiuto per me lei ci sarà sempre … apro gli occhi e sento acqua bagnata e salata in faccia … sono le mie lacrime che scendono … ora ho capito chi era nel sogno … sorrido e ti ringrazio … mamma …

 


LEGGEREZZA

di Valerio Zanghì

Da un sottotetto con cemento e mattoni a vista, adibito a deposito, guardo i desolati campi coltivati a ulivi, mandorli e vigne; c’è più gusto a farlo con 38 gradi e con la sensazione di essere abbracciato dalla vallata e non dalla tua famiglia. Una stretta al petto però mi ricorda che la solitudine è bella solo a tratti, almeno per me che mi sciolgo ad un suo sorriso.é questione di chimica se sono lì in un posto estraneo a me, con affetti e amicizie affittati per le vacanze estive al modic o prezzo di un paio di pesci fuor d’acqua. Si tratta di un investimento, di una scommessa su di me, sperando che quel fastidio quasi impercettibile delle zecche a mezzogiorno abbia una nuova destinazione d’uso nella vita di tutti i giorni. Perchè tu mi hai insegnato a godere della leggerezza.

 


RIPASSARE DALLA PARTI DEL CUORE

di Alessandra Fornasa

Le foglie cadono dai grandi alberi dei corsi di Torino. L’autunno è alle porte. Mi ritrovo imbottigliata nel traffico, alla radio trasmettono la nostra canzone, il mio sguardo si perde come quello di una matrioska russa e la mia mente inizia a rivedere le immagini dei momenti più belli della mia vita. Ho trascorso l’estate con lui, in Salento. Proprio ieri mi trovavo a Gallipoli, sulle mura del centro storico, di fronte a noi, il mare immenso e un tramonto dal color roseo – arancione. Sono in macchina, sola, confusa, sorrido al ricordo, ma non sono felice. La felicità risiede nella condivisione. Mi porto dietro un errore irreparabile, ovvero ho avuto paura di amare, ho chiuso il legame più forte che io abbia mai instaurato, ho rifiutato di andare a vivere insieme al mio uomo, Cesare. A parer mio le emozioni sono sottovalutate, tutti abbiamo bisogno di Amore, affetto, unione. Dal latino “re-cordis” , ” ricordare ” significa : ripassare dalle parti del cuore. Credo non si possa dimenticare, nemmeno col passare del tempo. L’uomo sa ciò che avviene in un altro uomo, ci amiamo l’un l’altro, incatenati vicini, ma senza congiungerci mai, senza abbandonarci totalmente e interamente. Tutti vogliamo donarci, aprire le porte della nostra anima, ma codesta conserva i nostri profondi segreti solo nella nostra intima interiorità. Nessuno può entrarvi, nessuno comprende le nostre confidenze, esse rimangono infruttuose.

Tempo fa mi colpì un’affermazione di J. Morrison : Rifiutarsi di amare, per paura di soffrire, è come rifiutarsi di vivere per paura di morire.


SOGNO D’ESTATE

di Davide Perazzolo

Una spalla che accoglie un sogno biondo,le da riparo,mentre una mazurka occitana tesse i suoi suoni avvolgenti e prepara in quella serata piovosa l’arrivo della loro estate. Lei stabilì subito che io fossi un oasi dove fermare il suo cuore, non riusciva promettermi nulla ma essere oasi mi piaceva, se l’estate è sogno io stavo sognando. Sapevamo tutti e due di buono, portavamo con noi un sapore di pulito. Mi impose il”quasi fidanzati” in nome di una prudenza che nemmeno lei sapeva più arginare, giocavamo a far cadere una dietro l’altra le lettere del”quasi”,finché un giorno al calar del sole di Luglio ci togliemmo gli scarponi e con i piedi dentro un lago di montagna ci venne spontanea la speranza di essere casa. La nostra estate ci sorprese lì in quel luogo entrambi increduli di tanta semplicità.


 

ESTA(TE)

di Gloria Ferrari

L’estate, forse, è ciò che abbiamo dentro. E’ mamma che mi abbraccia come farebbe una bambina col suo giocattolo preferito, che non ci vediamo da mesi io e lei. E’ la fidanzata di una vita, che si rifà la sua di vita, senza di te, ma hai vent’anni, e la bella stagione non ammette pioggia.
È estate anche d’inverno, quando mi ricordo che l’estate sono io ed il profumo del pane che nonna mi ha fatto preparare per la prima volta con lei, all’alba, ad agosto, ed io che non riuscivo più a distinguere il mio profumo dal suo. Estate è il 25 di luglio, i baci con la sabbia ed il falò in spiaggia che non bruciava comunque quanto me, vicino a te. La mano tra i capelli, rossi, Federica, ed io che non so più che stagione è, perché l’estate io ce l’ho dentro, addosso.

Sii la tua estate, sempre!


 

ASSOLO D’ESTATE

di Riccardo Levi

Estate,

è stata.

E state voi dove siete, se avete un posto dove andare partite, partite di tennis d’estate, uno contro uno, chi resta chi va, sudore, si muore, se per te non è stata un’estate sarai stata una statua di sale, di solito al mare, bevendo champagne e mangiando caviale, normale è il male di non poter viaggiare, in volo, consolo, chi è solo, e m’immolo, con quest’assolo: d’estate non sempre si sale, a volte si scende aspettando il Natale.


LA RAGAZZA COI PIEDI ALLE 10 E 10 

di Diego Carlo Grangetti

C’era una volta in uno spazio senza spazio e in un giorno senza tempo una ragazza che camminava con i piedi alle 10 e dieci. Era pazza, pazzissima ma aveva qualcosa di speciale… forse era proprio questa follia che la portava a essere senza filtro. Un pomeriggio andarono a vedere le anatre allo stagno e lei disse: “Ciao oca come ti chiami?” Era come San Francesco. Parlava anche con gli animali ma gli animali non le rispondevano. Ma lei non se la prendeva e andava avanti, aveva mani grandi, mani senza fine…era una “scumbinata” ma era bella così. Lei era la fata dai capelli scumbinati che lo aveva salvato anni prima…lo aveva salvato da se stesso…dal marcio che c’era in lui e questo marcio era tanto. Lei era un cuoricino vagante non una mina vagante…che poi è la stessa cosa.


 

L’AMORE D’ESTATE

di Yuli Anais Ma Portilla

Era l’estate del 2010 Chanel e William stavano trascorrendo la loro luna di miele alle Isole Galápagos. Il giorno seguente lo sposo decise di andare a fare una passeggiata e iniziò a pensare a Elisabeth, la sua ex fidanzata che avrebbe dovuto sposare, quando ad un certo punto incontrò lei, entrambi trascorsero un bel pomeriggio sorseggiando un cocktail alla papaia e iniziarono a rivivere i bei momenti passati insieme, si salutano come se fosse un addio ma entrambi sapevano che non sarebbe stato così. Lo sposo decise di non raccontare nulla a Chanel, ma lei era già seduta dritta e composta nel letto ,a questo punto William le raccontò tutto. Lei non disse una parola, quando ebbe terminato di parlare William, Chanel affermò che era stata lei a riunirli e che in fondo Elisabeth è sempre rimasta la sua amica. All’indomani i due sposi si recarono da Elisabeth per farle da testimoni e trascorrere con lei il giorno più bello della sua vita.


È UN’ESTATE CHE TI ASPETTO

di Emilia Bifano

Estate particolare che scorri veloce tra le dita, mi anneghi con le bolle di sapone in un mare di amici, mi tuffi nel chiaro di luna e mi sollevi in un cocktail all’arancia. Ti sorrido a mezzaluna come una fetta d’ anguria e i semi neri come i suoi occhi che ho incrociato sul corso in bicicletta. Estate che bruci le tappe e le pelli abbronzate con il tuo sole al limone. Estate che corri come un treno, che sbuffi fumo e vapore dai ristoranti affollati. Estate e la tua musica, la tua voglia di arrivare in ogni dove e rapire le campane della chiesa che suonano i tuoi eterni giorni di festa. Estate che raccoglie i frutti profumati, gli attimi rubati e li vende nel paniere con le uova fresche e il pane caldo. E’ un’estate che ti conosco eppure non ti ho mai visto, è una vita che ti aspetto sotto i portici del centro. Estate è una chitarra, è le tue dita che danzano sulle sue corde e mi tengono sospesa su un filo ad ammirarti mentre suoni alla luce di un fuoco sulla spiaggia. Estate è il tuo amore, la vita che non ti aspetti, i ritorni, le partenze, le lacrime, i baci rubati agli occhi indiscreti della folla. Estate che corri e non ti fermi, aspettami o portami con te. Autunno con le tue lentiggini di pioggia sui vetri della casa in città ti prego, tarda ad arrivare e regalami, se puoi, ancora un giorno d’estate. 


 

AGOSTO

di Cinzia Alfé

In Liguria.
I ragazzi “in”, belli e abbronzati,  si godono il  sole sulle sdraio degli stabilimenti balneari;  parlano, ridono, bevono ettolitri di “Corona”: al loro arrivo in spiaggia, non puoi non notarli.
Anche io e Gabriele arriviamo in spiaggia.
E anche il nostro arrivo non passa inosservato.
Quando arriviamo,  il bagnino  ci viene incontro, solleva Gabriele dalla sua sedia a rotelle  e  lo  sorregge nel suo faticoso tragitto fino alla sdraio. A volte lo prende in braccio.
I ragazzi belli e abbronzati continuano a bere Corona.
Tranne Giorgio. Giorgio si alza,  si avvicina a Gabriele e, con infinita delicatezza, gli infila la ciabatta che gli era scivolata  via. Poi lo guarda, e gli sorride.  Da quel giorno, Giorgio prende sempre in braccio Gabriele.
E Gabriele sorride.


 

LEI

di Simonetta Gorsegno

Impiegò molto tempo a tornare a casa, molto più di quello che occorreva. Sentiva la necessità di stare più lontano possibile dalla sua stanza. Sapeva che in quel piccolo e ristretto mondo non avrebbe pensato altro che a lei. Si sarebbe disteso sul letto e ripensandola, gli sarebbe apparso il suo viso in mille fotogrammi. Avrebbe tappezzato l’intera camera di quei seducenti sorrisi per cui aveva perso il senno nell’attimo in cui l’aveva conosciuta, l’estate scorsa. L’angoscia di non averla più tra le braccia l’avrebbe sopraffatto tramutando quell’amore in dolore e sconforto. In quegli spazi aperti, andando a zonzo  per la città, con la sigaretta tra le dita, sentiva attenuarsi il dolore più che tra le mura domestiche. Finalmente reagiva, aveva dalla sua l’età e il coraggio di voltare pagina.


 

PER SEMPRE!

di Massimo Taggiasco

Adesso, finalmente, riusciva a guardarla negli occhi.
Quegli occhi grandi, severi, che a volte gli avevano messo persino soggezione.

A ripensarci, era la solita, banale storia estiva. Lei bellissima, con quel suo incedere elegante, nel sole, come se il resto dell’umanità fosse destinato solamente a restare nell’ombra, la sua ombra.
Conoscerla era stato uno di quei casi che paiono scritti dal destino per regalare una nuova occasione a due anime sole, o, più propriamente, forse, abbandonate.  Lo spettacolo, un commento, una sosta al bar e il piacere di dimenticare tutto e di ritrovarsi, ben presto, a dividere lo stesso letto.
Poi i giorni, brevi, intensi, ma alla fine uguali, monotoni.
Anche il fascino, alla fine, stanca.
Bella, altera, persino indisponente con quel suo modo di fissarlo dall’alto in basso, tanto da fargli abbassare lo sguardo. E poi, l’odiosa abitudine di correggergli tutti i congiuntivi!. Troppo!
Adesso, poteva guardarla dritta in quegli occhioni algidi, fissi su di lui, senza arroganza, né saccenza. Per sempre.  


 

QUATTRO STAGIONI IN UNA

di Cristina Vangone

Questa estate, l’inverno è cominciato presto. Era un pomeriggio di caldo torrido, quando foglie purpuree hanno iniziato a cadere a terra, una ad una, facendo del mio corpo un albero spoglio prima del tempo. Poi, il gelo. Ad ogni mese, ogni giorno, ogni silenzio, ogni gesto mancato, si sviluppavano crepe tra i miei rami ormai ghiacciati. Nel frattempo: sole, mare, calore, sale. Lei, sale. Nella mia istantanea, sale dal mare. Indossa tuttora il profumo del mare e porta negli occhi colori di posti lontani. “È tutto a posto”, mi dice, “è solo questione di tempo”. E mentre racconta il deserto, che dentro s’insinua e mi svuota, il suo abbraccio mi colma e mi scalda. Nella mia istantanea, labbra, sole, occhi e sale. Ferite fresche che cicatrizzano al sole. È primavera.


LA PATENTE

di Jordie Confortini

Ogni estate, nella brezza profumata delle sere di luglio, percorrevo quel tratto di strada per tornare a casa. Camminando, mi domandavo se fosse più bello rimbambirsi a osservare la volta di stelle che vegliava sulle case e sui boschi immersi nel buio o prestare attenzione all’asfalto che, a intermittenza dei lampioni, si mangiava la mia ombra per risputarmela, dopo qualche passo, dietro alle spalle. Così facevo un salto a naso in su e poi mi giravo di scatto a vedere se la mia sagoma scura fosse stata indigesta per la terra ancora una volta.
L’estate dopo mi permisero di uscire in bicicletta. Come andavo veloce! Tanto che se fissavo troppo a lungo il cielo o il serpente grigio sotto le ruote rischiavo di cadere.
Giunse la scorsa estate. Il mio infantile dilemma era stato risolto: dalla macchina in corsa non si vedono né ombre né stelle.


 

SORPRESA 

di Francesca Fichera

Era sempre stato l’odore di bruciato dei campi, la frescura dei gelati, qualche bolla di frizzante sul fondo della gola mentre il vento alleggeriva il capo e le braccia non reggevano niente.
Poi è cambiato: gli arti si sono fatti più pesanti, le vene asciutte. Senza leggere, senza scrivere, con un ‘mai più’ a fior di penna e labbra come Pavese, e l’attesa silenziosa dell’aria di bonaccia.
Anche i sorrisi hanno iniziato a nascere diversamente: casuali, come i giochi e la spensieratezza di una nipotina dalle guance morbide, e rari come la tua pazienza nell’accompagnarmi a mare, uguale a una donna anziana dolorante e zoppa; il nostro ultimo bagno insieme, il cielo sciolto nell’acqua a mo’ di tetto sulla testa, leccarti il sale sulla spalla e scoprire che sì, dietro il dolore dorme la felicità.


CARAMELLE

di Martina Pedroni

Mi sono affacciata alla finestra di una stanza umida, nella coltre di nebbia che avvolge questa città senza speranza e ho pensato a te. Ho pensato al tuo viso illuminato dai riflessi del lago, a quel caldo pomeriggio di agosto in cui mi hai detto, scartando una caramella, «Non potrei mai fare a meno del tuo sorriso». E io ho risposto, buttando via la carta, «Domani parto». Non hai smesso di accarezzare le mie labbra neanche quando le caramelle sono finite.
Vorrei che tornassero quei giorni spensierati in cui era così facile perdersi nella luce calda di un tramonto. Vorrei tornare a scartare caramelle con te, perché ora lo so che di sorrisi ne hai visti tanti, ma quello che ti fa stare bene è solo il mio e io non posso più fare a meno del tuo.


MARIA

di Rosario Cuomo

È troppo presto per parlare. C’è quel fesso di papà che mi sussurra: “Parla, che ti costa! Così chiamiamo Barbara D’Urso!” Taccio. Al massimo lallo, come dice la mamma. Sono nata l’undici giugno, e ora mi accorgo che l’estate sta finendo. Il nonno mi ha comprato un pallone che vola su, a forma di barchetta. A casa è stato liberato ed è andato a prendere il suo posto nell’angolo del soggiorno. Un’ora dopo l’altra si è afflosciato; guardandolo ho capito che la sfoglia dei giorni caldi di agosto è ormai un croccante ricordo. C’è meno luce, pure, e di quel pallone segnale pare non se ne curi nessuno. Ah, mi chiamo Maria e papà dice che sto in un sacco di canzoni.


 

PER LA PRIMA VOLTA

di Margherita Orsi

Quest’estate mi sono messa un vestito bianco e sono uscita in mezzo alla musica e alla gente. Ho corso tanto. Mi sono fatta baciare in macchina alle tre di notte sotto casa. Ho cantato a squarciagola una canzone triste. Mi sono ammalata e sono guarita. Mi sono fidata di qualcuno appena conosciuto, gli ho tenuto la mano in biblioteca. Abbiamo ballato una canzone melensa suonata da un’orchestra in Piazza Maggiore, l’asfalto era bagnato. Quest’estate ma quanto faceva caldo. Mi sono tuffata in piscina. Mi sono asciugata al sole. Ho preparato una torta di mele e ho sorriso la mattina appena sveglia. Quest’estate mi sono innamorata per la prima volta, davvero. Ho mangiato fino a scoppiare, certi giorni non ho mangiato nulla, ho visto così tanti alberi, ho fatto tre valigie, e ne ho disfatte due.


 

MAI PIÙ

di Valerio Matarazzo

È stata una sera di Agosto quando, sul prato di un locale estivo di Siracusa, la incontrai. Da un lato un palco con il live e dall’altro il mare mosso. L’impeto di un rapido incontro casuale che riesce a smuovere ciò che da anni è sepolto. Un attimo, due frasi, degli sguardi, quanto basta a scuotere i muri tra noi, far vacillare la ferrea disciplina del distacco e rischiare di aprirci in una valanga di parole vere. Con la complicità della musica alta, la nostra testardaggine ci ha mantenuto nel campo sicuro delle frasi conviviali. Ce l’abbiamo fatta a sfuggire dal campo gravitazionale che ci condiziona, sei scappata via e io non ti ho fermata. Abili come sempre a proteggere le passioni del momento, senza contaminarci reciprocamente. Spero di non vederti più.


 

ARETUSIDE

di Andrea Di Salvo

Posti agli estremi di questo paese troppo lungo, non è mai stato facile vederci – lo sai – e l’estate passata non ha fatto differenza. Un peso, questo, trascinato da tempo, come avrei fatto con valigie pesanti attese all’aeroporto se avessimo passato più giorni insieme, ogni volta. Una scrittrice francese ha detto che sembra sempre di aver vissuto a lungo nei posti in cui si è vissuto intensamente. Ha ragione. Parlava delle nostre notti a Siracusa, dell’addentrarsi nell’Orecchio di Dionigi, del sudore nei giorni caldi, di granita e brioche a colazione, del faro del Plemmirio, di cave greche abbandonate, di conchiglie nelle mani, dei tuoi occhi, di una barca beccheggiante, di un amore su lenzuola bianche e della tua pelle e del tuo odore. E ora rigiro tra le dita i gusci di questi ricordi.