#MUSICADALEGGERE #2

Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto
vagò, dopo che distrusse la rocca sacra di Troia:
di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri,
molti dolori patì sul mare nell’animo suo.

Omero o gli Omeri, o chi per loro, così cominciano a cantare.
La domanda è rivolta alla divinità: che possa sciogliere i dubbi e raccontare del viaggio di Ulisse. Della sua via incantata. Degli incontri che ha fatto, dei mondi che ha visto. Delle vite che ha vissuto prima di tornare. Se mai è tornato.

Così gli Omeri di oggi, in un collage,
come si tramanda che facessero i rapsodi, raccontano Ulisse:

Non pensa al rematore, Ulisse, che la moglie crede morto
resiste al canto delle Sirene create dalla notte
e si perde nel gusto del proibito, sempre più in fondo
e nemmeno il vento è più curioso di lui
al suo amore darà un’isola, ma solo prima o poi
lui è Ulisse, non può resistere
a quella via del mare che segna false rotte,
al suo bisogno di conoscere.

Ulisse è l’eroe moderno, colui che, pur non volendo, prende la via del mare, all’andata, e al mare è costretto anche al ritorno. Le insidie sono ovunque, la sua voglia di conoscere è insaziabile, lo acceca e non sa più dove sia diretto.

– Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.
– Dove andiamo?
– Non lo so, ma dobbiamo andare.

Così si dicono Sal Paradise e Dean Moriarty, rispettivamente Kerouac e Cassady in Sulla Strada.
Anche Ulisse perde la cognizione di dove sia diretto, perde di vista Itaca, sbaglia strada. Si ferma e perde tempo, con Circe, con Calipso. E non torna. Almeno secondo Dante, che lo ritrova dannato tra i dannati, all’Inferno. Eccolo lì, nell’ottava bolgia, perché la via di Ulisse è il mare, e l’ha percorsa per intero, fino in fondo, fino alla morte. Perché? Per saziare la propria sete di sapere.

Ulisse, nel Canto XXVI, è lambito dalle fiamme perché a Itaca non ci torna. La sua colpa è voler seguire “virtute e canoscenza”, il suo dramma aver costretto i compagni al “folle volo” “sol con un legno”: la voglia di conoscere lo spinge ben al di là delle Colonne d’Ercole, il limite invalicabile della conoscenza. Quello è il “folle volo”, compiuto solo con una nave di legno, il “folle volo” di chi vuole sapere di più di ciò che gli è dato sapere. E proprio per questo Ulisse siamo noi.
Quando superiamo il limite, quando ci spingiamo oltre.