NEOREALISMO

Lo splendore del vero.
A Torino si parla di Neorealismo. Non solo al Circolo, ma anche Museo Nazionale del Cinema, a Palazzo Madama, a Camera: voci, film, fotografie s’intrecciano per raccontare l’Italia del dopoguerra. Ci si strappava le parole di bocca, allora, dice Calvino.

Si era faccia a faccia, alla pari, carichi di storie da raccontare, ognuno aveva la sua, ognuno aveva vissuto vite irregolari, drammatiche e avventurose.

Le storie da raccontare erano quelle dell’Italia, anzi delle diverse Italie “fino allora più sconosciute dalla letteratura”. Il motore, il conflitto mondiale che aveva coinvolto tutti. E la letteratura diventa, in quel momento, uno strumento di denuncia e, al tempo stesso, di espressione di sé. Espressione del “sapore aspro della vita, delle tante cose che si credeva di sapere o di essere”, sempre parola di Calvino.

E così, in letteratura, come nel cinema, l’impegno degli intellettuali è stare a contatto diretto con la società. C’è bisogno di verità, dopo le mistificazioni del regime. Attori non professionisti, presa diretta del paesaggio esterno, città e campagne. Non più storie individuali ma storie collettive. Roma occupata, i partigiani, la povera gente costretta a rubare una bicicletta per lavorare, le donne del dopoguerra, i migranti. Prostituzione, suicidi, il duro lavoro. La responsabilità.
E abbiamo, tra gli altri, Roma città aperta, abbiamo Paisà, Sciuscià, Ladri di Bicilette, La terra trema.
Rossellini e De Sica, Visconti e Zavattini, Amidei, De Santis, Germi.

Al Circolo, quattro scrittori di oggi dialogano con altrettanti interlocutori immaginari.
Sono Nicola Lagioia, Paolo Nori, Emanuele Trevi e Valeria Parrella, e rispettivamente, Vittorini, Zavattini, Malaparte e Fenoglio. Il 6 ottobre cominciano le Conversazioni sul Neorealismo. Con Nicola Lagioia, vincitore del Premio Strega 2015, a rileggere Conversazioni in Sicilia.
Poi Paolo Nori elogia la capacità di Zavattini di mettere i “dettagli del quotidiano in primo piano”.
Poi c’è Emenauele Trevi che ci legge Kaputt di Curzio Malaparte.
E infine Valeria Parrella ricorda la Questione privata di Fenoglio.

Non proviamo più soddisfazione a compiere il nostro dovere, i nostri doveri… Compierli ci è indifferente. Restiamo male lo stesso. E io credo che sia proprio per questo… Perché sono doveri troppo vecchi, troppo vecchi e divenuti troppo facili, senza più significato per la coscienza. Elio Vittorini, Conversazioni in Sicilia