LA TESTA TRA LE STORIE #1

Il Circolo è luogo favoloso. E si fa a misura di bambino per tanti laboratori divertenti. Ecco qui una storia che potete leggere ai vostri piccoli lettori, nipoti, figli di amici.
Per farli addormentare, o per tenerli svegli.


 

TUTTI COL NASO ALL’INSÙ

C’era una volta una città in cui il sindaco era un astronauta famoso, di spazio se ne intendeva, sapeva tutto del cielo stellato, di pianeti e di orbite. L’intero consiglio comunale era fatto di astronauti, un po’ meno famosi ma pur sempre astronauti. Cosa da poco, direte voi, ma pensateci bene. A quel sindaco spaziale non importava nulla di strade e semafori e nemmeno dei bidoni dell’immondizia. Non gli interessava che l’erba fosse ben tagliata nei giardinetti pubblici né che l’ufficio postale funzionasse a dovere. Per non parlare di parcheggi, autobus e tram! Lui aveva sempre il naso all’insù, se ne infischiava dei soliti mezzi di locomozione e pensava solo alle navicelle spaziali e ai viaggi intergalattici.

C’era poi un’altra città, non inferiore per stranezza a nessun’altra, in cui le elezioni le avevano vinte i dog-sitter. Ve lo immaginate? Non facevi in tempo ad adottare un cane che subito il sindaco arrivava, e se non era il sindaco veniva l’assessore alla cultura o quello alle infrastrutture, e portava il cane a fare pipì ai giardinetti. Non di rado si vedevano in giro gentiluomini ben vestiti con al guinzaglio cinque, sei, a volte sette cani. Qualcuno dice che il record l’abbia fatto l’assessore ai trasporti con ben undici cani, cinque da una parte e sei dall’altra. E un giorno si vide il sindaco che portava a spasso un carlino, un labrador, un dalmata, un pastore tedesco e anche un gatto. Dichiarò in un telegiornale che, sì, era contro la sua etica portare in giro un gatto, ma era necessario per ottenere i voti di quelli cui piacciono più i gatti dei cani.

Potrei raccontarvi anche, e spero mi crediate, di quel piccolo paese amministrato da un calzolaio prodigioso, in cui i cittadini andavano in giro scalzi per via dell’amore sfrenato del sindaco per le scarpe. Se le teneva tutte per sé. Oppure della città in cui avevano vinto le elezioni, in parità, una cuoca famosa per le sue enormi torte al cioccolato e un dietologo, celebre per aver fatto dimagrire anche i più ghiotti mangioni: chissà che grandi litigate!

Invece vi parlerò della mia città. Nella mia città hanno vinto le elezioni gli agenti immobiliari. Per questo motivo tutti pensarono subito che il problema di trovare la casa dei propri desideri fosse risolto. E, si può dire, che per i primi tempi fu proprio così. Quando una donna espresse il desiderio di abitare vicino al mare, rapidissimo il sindaco immobiliare, con un complicato sistema di tubature e scivoli, le portò il mare davanti casa. Quando un uomo espresse il desiderio di abitare nella natura, sveltissimo il sindaco immobiliare fece arrivare sacchi pieni di semi, semi grossi come ananas, dai quali crebbe una selva di piante esotiche sui cui rami venne trasportata la sua casetta di legno. E quando un bambino, amico mio, espresse il desiderio di abitare in un libro, velocissimo il sindaco immobiliare emanò un decreto per cui tutti i bambini che lo avessero desiderato, avrebbero potuto dormire almeno un giorno a settimana in biblioteca. Capitò così che nella mia città, passate poche settimane, tutti abitavano nella casa che avevano sempre sognato.

Va detto che questo sindaco immobiliare e i suoi assessori erano molto briosi, sempre a cercare di lavorare, non sapevano starsene con le mani in mano e, soddisfatti i desideri di ogni cittadino, poco restava loro da fare. Nella sala del consiglio comunale l’intera giunta passava il tempo a sbadigliare. Fu così che cominciarono i guai.

Una notte, tardissimo che nessuno in città era sveglio e potesse vederli, il sindaco immobiliare e i suoi assessori appiccicarono su ogni portone un cartello giallo fosforescente. Sopra ciascun cartello c’era la scritta “VENDESI”. Anche sul mio portone ce n’era uno e anche sul mio cartello c’era la stessa scritta. Mettere tutte le case in vendita fu l’idea che il sindaco immobiliare ebbe per trovare qualcosa da fare, e finirla di sbadigliare soltanto.

La mattina successiva a quella notte, io mi svegliai tardi, era domenica, e nel viottolo davanti casa mia vidi il mio vicino con la valigia in mano, aveva pure un sacco nero di quelli per la spazzatura, da cui spuntava il frullatore, il battipanni e una scopa. Sceso in strada la mia sorpresa fu enorme. Non c’erano più automobili, e le poche erano cariche di bauli e bagagli, trolley e borse. Sul tettuccio, legate alla bell’e meglio, un armadio o un divano, le lampade a stelo spuntavano dai finestrini aperti.

In pochissimi giorni la mia città era deserta. Tutti erano andati via. A scuola non andavo, perché anche la mia maestra aveva lasciato la città. Mio papà non sapeva bene cosa fare. Il sindaco immobiliare in persona aveva suonato il nostro campanello più volte per ricordarci che anche la nostra casa, come tutte le altre, era in vendita, e che anche noi avremmo dovuto lasciarla al più presto.

Io, che avevo sentito di tutte le altre città di cui vi ho parlato prima, ne scrissi su un foglio la lista dettagliata, e la feci leggere a mio papà. Avremmo così deciso dove andare ad abitare. La città del calzolaio? Avremmo potuto camminare scalzi tutto il giorno. Bello e comodo d’estate, ma d’inverno ci saremmo congelati i piedi. La città dei dog-sitter? A me piace portare a spasso il mio cane! La città della cuoca e del dietologo? Papà disse che lui alla torta di cioccolato non voleva rinunciare e che mangiarne metà fetta, come usava fare da quelle parti per colpa del dietologo crudele, non gli sarebbe bastato.

Rimaneva dunque la città del sindaco spaziale, dove sì, gli autobus non erano mai in orario, i semafori indicavano le fasi lunari e di buche nell’asfalto ce n’erano tante, ma quello che importava al sindaco spaziale erano le galassie lontanissime, gli anelli dei pianeti e soprattutto il cielo limpido, la notte, per vedere le stelle più brillanti. Bella questa città, dissi io, Bellissima, disse mio papà e lo dicevamo mentre già facevamo le valigie, per lasciare la città degli agenti immobiliari e andare ad abitare tra gli astronauti con il naso all’insù.