LAGIOIA LEGGE VITTORINI

La prima delle Conversazioni sul neorealismo è con Nicola Lagioia. Le altre le trovate qui.


 

Non erano che topi, scuri, informi, trecentosessantacinque e trecentosessantacinque, topi scuri dei miei anni, ma solo dei miei anni in Sicilia, nelle montagne, e li sentivo smuoversi in me e così mi venne una scura nostalgia come di riavere in me la mia infanzia.

I topi di Silvestro non sono precisamente ricordi, sono i topi scuri dei suoi quindici anni in Sicilia. E smettono di essere tali solo quando sale su quel treno che lo riporta a casa, all’infanzia, da sua madre. Il protagonista di Conversazione in Sicilia vive a Milano, fa il tipografo. È preda di “astratti furori”, è depresso, ma soprattutto è dimentico: non ricordare più quella sua infanzia sull’isola, aver tagliato le radici col passato, lo fa sentire ancor più perduto. Una lettera del padre è l’espediente narrativo usato da Vittorini per farlo partire, per smuovere l’io narrante dalla stasi. E quando viaggia, quei topi diventano cielo, diventano odore. I blocchi morti dei ricordi cominciano a sciogliersi.

Elio Vittorini ha 30 anni quando scrive questo romanzo, che subisce la censura fascista. Ha già compiuto il suo “viaggio a Chiasso”, per dirla con Arbasino, ha fatto suoi quei libri che in Italia erano banditi dal regime. Ha letto gli americani, e infatti i suoi dialoghi ricordano quelli di Hemingway, ha letto Proust.

Silvestro si inoltra, sul treno felliniano, nella quarta dimensione, quella del tempo. È l’8 dicembre, il viaggio è un viaggio iniziatico. Quello di Vittorini non è solo un romanzo neorealista, ma un tentativo di purificare il tempo che sta vivendo.

Davanti a un’umanità umile, povera, il protagonista di Conversazione in Sicilia divide il mondo in due: “uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma solo quello perseguitato”. E così ci dice chi sono gli offesi, Vittorini, pur ultimi nella società sono loro che possiedono la virtù e proprio per questo li sprona, pur oppressi, a non diventare oppressori a loro volta. La sofferenza va condivisa, solo così è possibile liberarsene. Perché:

Tutti soffrono ognuno per se stesso, ma non soffrono per il mondo che è offeso e così il mondo continua a essere offeso.

In questo romanzo pregno di modernismo – la domestica di L’urlo e il furore assomiglia alla madre di Silvestro, per esempio – dove ciò che Silvestro vede è reale due volte, l’autore invita, pur non indicando una strada precisa, a esser tristi non per se stessi, ma per il “mondo offeso”, perché è la solidarietà il motore per ribellarsi all’oppressione.

Nicola Lagioia ricorda anche il carteggio tra Vittorini e Togliatti che porta alla definitiva chiusura della rivista Politecnico, fondata dallo scrittore. In quelle pagine Vittorini scrive che la cultura non la predicazione della verità, che è la cultura a fare la storia, mentre la politica è cronaca.

E per finire, una riflessione sull’eredità. Ci sono tanti anniversari quest’anno, quello di Calvino, appena passato, arriverà Pasolini e poi Elsa Morante. Lagioia confronta Calvino e Pasolini: “tanti siamo pasoliniani perché amiamo l’apocalisse. Ma amare l’apocalisse è diventato un pretesto per non andare alla guerra. Per seguire Pasolini bisogna essere profeti, per seguire Calvino, invece, serve forza di volontà e serve umità. Queste merci sono meno a buon mercato, meno della nostra apocalisse da interno, che è sinonimo del non volersi mettere in gioco”.

Perché, per dirla con Calvino e il finale delle Città Invisibili:

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

 


 

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Nicola Lagioia

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Nicola Lagioia con Michela Murgia, Angela Rastelli, Francesca Vittani