Chi è Svjatlana Aleksievič
Stamattina abbiamo letto sul Corriere chi avrebbero scelto come premio Nobel quattro protagonisti dell’editoria italiana.
Piero Gelli, già direttore Garzanti, Rizzoli, Einaudi e oggi critico letterario, ha fatto i nomi di Salman Rushdiee e Amitav Ghosh, indiani di lingua inglese. E poi Haruki Murakami e Abraham Yehoshua. Perché, secondo Gelli, è il momento di cambiare.
Gianandrea Piccioli puntava su Philip Roth, sul nostro Claudio Magris e su George Steiner. (Vi segnaliamo una pagina Facebook molto divertente, a questo proposito: si chiama Philip Roth rosica).
Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci e segretario della Strega, rilanciava con Eco e con Magris, di nuovo, e Steiner. E poi alcuni grandi saggisti: Antoine Compagnon, Julia Kristeva, Tzvetan Todorov.
Antonio Franchini si chiedeva perché Stephen King non abbia diritto di cittadinanza nell’albo dei Nobel. E Cormac McCarthy? Perché no?
Qui trovate gli ultimi 10 premiati, ai quali si aggiunge oggi Svjatlana Aleksievič, scrittrice e giornalista bielorussa. Questa la motivazione dell’Accademia Reale Svedese: “abbiamo premiato la sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi”. Questo momento di sofferenza è Černobyl’, secondo la scrittrice, “un mistero che dobbiamo ancora risolvere”.
Ha ricostruito i sentimenti, non i fatti, intorno alla tragedia del 26 aprile 1986. Erano le 1.23 circa, la centrale nucleare, la V.I. Lenin, situata in Ucraina settentrionale, all’epoca URSS. Il romanzo è Preghiera per Černobyl, pubblicato da E/O e Bompiani. Sono una serie di monologhi che l’autrice ha raccolto dieci anni dopo la catastrofe. Raccontano di una morte che, inesorabile, può raggiungere chi parla anche anni più tardi, e di una tragedia che non ha sapore, né colore, totalmente invisibile.
Ci sono bambini che parlano, soldati, donne e uomini, l’autrice dà voce a tutti. A quelli che si erano accorti del pericolo, a quelli che invece non se ne rendevano conto. Infatti molti paesi non vennero immediatamente evacuati, i bambini andavano in bicicletta a vedere l’incendio e i pompieri che provavano a spegnere le fiamme con indosso solo la maglietta.
Un libro necessario, che racconta “una tragedia dalla mentalità russa”.
Nata in Ucraina nel ’48, è sempre stata critica del regime in Bielorussia e perseguitata da Lukašenko. Ha lavorato come cronista, ha vissuto all’estero. I suoi libri sono tradotti molte lingue. In italiano trovate, oltre il citato Preghiera per Černobyl, Ragazzi di zinco (2003) e Incantati dalla morte (2005).
Qui, un reportage del Sole 24 ore su Černobyl.
Qui una video intervista all’autrice.