RICORDATI DI ME. LE CINQUE PAROLE DELL’AUTOBIOGRAFIA E UNA CANZONE

Nella parola autobiografia ci siamo noi, la nostra vita, e la nostra scrittura.
Abbiamo chiesto a Duccio Demetrio, direttore scientifico e docente della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari, da lui fondata con Saverio Tutino, e dell’Accademia del silenzio, di darci le definizioni di cinque parole che ruotano intorno e definiscono questa parola già composta, che al suo interno contiene autòs, bios gràphein.

Duccio Demetrio dedica a questo tema due corsi, da gennaio, al Circolo.
Le parole sono PASSATO, MEMORIA, ALTRO, PAROLA, OBLIO.

1. PASSATO
è ciò che fa gioire e ciò che perseguita. 

La scrittura autobiografica si fonda sul passato.
Sfata la convinzione che noi si viva solamente nel presente, nelle sue felicità o drammatiche ferite.
Siamo il nostro passato anche quando non vorremmo più fare i conti con lui
desidereremmo dimenticarlo per sempre. Il passato, ci può perseguitare, far gioire e desiderare il presente e il futuro. Accoglierlo, accettarlo è uno degli scopi della scrittura autobiografica. La sua è una dimensione esistenziale, indica la totalità del nostro essere stati ed essere, si impiccia del nostro futuro anche quando preferiremmo di no. La sua lingua è ora poetica, ora drammatica; ora dolcissima e malinconica, ora preziosa ora maligna.

2. MEMORIA
è la materia da organizzare. 

La memoria nell’antichità classica era la dea Mnémosine, era la madre di ogni arte.
Le memorie sono molte: sono di tipo emotivo, sensoriale, fattuale, relazionale. La scrittura in solitudine o quando ci si affidi ad un laboratorio di scrittura, si incarica di farci sperimentare questa tipologia, ma soprattutto è affascinante offrire alle diverse memorie trame e intrecci. Il suo compito è dunque di carattere ri-compositivo. Un’operazione, questa, che se soltanto mentale o orale, se di una certa complessità, è destinata all’insuccesso. Ed è in questo processo di riorganizzazione narrativa, romanzesca, autoanalitica dei nostri vissuti che man mano dalle pagine affiora il nostro profilo. Scopriremo che se anche esse non saranno mai la copia esatta di quel che crediamo di essere, ci assomiglieranno non poco.

3. ALTRO
è il misterioso che non siamo riusciti a capire bene. 

Ci sono gli altri, il nostro prossimo, il banco di prova della nostra maturazione, del nostro altruismo, o del nostro egocentrismo e narcisismo. Ma, con questo concetto, dobbiamo anche intendere, i tanti momenti “altri” della nostra vita: tutto quanto è rimasto enigmatico, non abbiamo ben compreso, l’irrisolto, il misterioso. Gli amori perduti e mancati, scelte disattese, cose rimaste avvolte tra le nebbie dei ricordi. L’altro, insomma, è tutto quanto non siamo riusciti ben a capire, a definire, a possedere, a desiderare. In una autobiografia, anche questi lati oscuri, queste ombre, queste domande inevase e inquietanti contano non poco e con esse non fa male confrontarsi, sfidandole mutandole in storie dedicate ai nostri incontri, appunto, con l’altro.


4. PAROLA
è il mezzo con cui ci si libera del passato, mettendolo su carta. 

Le parole scritte sono l’anima più autentica dell’autobiografia. Non v’è dubbio che possiamo raccontarci usando anche altri mezzi espressivi, tuttavia se vogliamo essere coerenti con questo genere narrativo è al termine Gràphein che dobbiamo il merito di consentirci di ricapitolare nella coscienza di essere esistiti, di capire la nostra storia, simile a quella di tanti altri, in assoluto però soltanto nostra. Sono le parole scritte quindi, che potranno in seguito essere lette o ascoltate. Scopriamo così che scrivere è arte della cura, talvolta persino una via terapeutica. Secondo la lezione filosofica più antica: terapia come coltivazione di sé, della propria anima, del proprio presente afflitto nel quale facciamo posto, sempre, al passato allo scopo di liberarcene, paradossalmente, però trattenendolo sulla carta.


5. OBLIO
è ciò che aiuta a scolpire la nostra memoria. 

Oblio, obliare, obliato: sostantivo, verbo, aggettivo. Dobbiamo considerarle tutte e tre queste parole.
Rappresentano gli avversari dannosi che attentano imperterriti ai benefici di Mnémosine.
L’oblio non è la smemoratezza, inutile è tentare di arginarlo, di uscirne vincitori. Noi dimentichiamo, ed anche per nostra fortuna e salvezza; in caso contrario il perdono, la misericordia, la riconciliazione sarebbero eventi impossibili.
Nella grande sua caverna (l’inconscio?) finiscono i giorni, le persone conosciute, i nostri atti e misfatti, che siamo ben contenti di obliare. L’oblio (anch’ esso una divinità: Lete) è amico e nemico al contempo: ci impedisce di racimolare ricordi e rimembranze, quando cerchiamo la materia necessaria per la scrittura autobiografica. Però nondimeno la sua ineliminabile presenza e voracità; ci aiuta, diceva Marguerite Yourcenar, a scolpire la nostra storia. Ci pensa lui a aiutarci a scoprire quanto di più essenziale è importante scrivere.


Ricordati di me.