LA COPERTINA DEL LIBRO DELL’ANNO FAHRENHEIT, L’INVENZIONE DELLA MADRE DI MARCO PEANO
Molte sono le cose che ricordiamo a quasi un anno dall’uscita del libro di Marco Peano. Ne scriviamo qui alcune, cercando di usare la copertina di Alessandro Gottardo come sponda. Sì, perché quella copertina – azzurrina come fosse ghiacciata – dice moltissimo del romanzo L’invenzione della madre.
Per prima cosa presenta i personaggi. Sono Mattia e la madre di Mattia.
Mattia è l’unico ad avere un nome. Non ce l’ha il padre, e non ce l’ha la fidanzata. E non ce l’ha la madre, il cui nome è come cancellato male sulla pagina – se ne intuisce la forma come sotto uno scarabocchio – se ne assapora il suono, ma non si sa quale sia. È un nome sommerso, marino, è un nome azzurro.
Mattia è al centro del romanzo come dell’illustrazione. Nel disegno fluttua in quelle che sembrano onde di cascata, e quelle onde sono i capelli della madre, che resteranno così per sempre perché sono finti. Sono un’invenzione. Quelli che sembrano capelli sono fili di parrucca, lei è malata di cancro e i suoi veri capelli le sono caduti.
La copertina parla di un abbandono. Nel ricordo, un ricordo tenero e insieme violento, quel Mattia disegnato sta bene lì, protetto, a far scorrere i propri ricordi insieme alle onde-capelli. A far fluire se stesso insieme a tutto il tempo che ha vissuto insieme a sua madre. Nel romanzo l’abbandono arriva dopo una sfiancante ricerca, una ricerca che è disillusa e senza speranze. La ricerca più importante che fa Mattia è quella di costruire intorno a sua madre una nuova casa. Che è fisica, un ricovero con ingresso privato, ma che è insieme sentimentale, ed è una ricerca votata alla conservazione di ogni piccolo dettaglio.
“Dettaglio” è una delle prime parole dell’incipit del libro. E di dettagli Mattia si preoccupa per tutto il tempo che rimane. Vuole tenere con sé tutto il tempo passato con la madre, il tempo che resta prima della sua morte. E un tempo di questo tipo è ancor più composto di attimi, e più gli attimi sono parcellizzati più è agile metterli da parte e conservarli, tenerli il più vicino possibile a sé. È un lavoro suo e di suo padre, certo, ma soprattutto suo: è la costruzione di un artificio che salvi ogni frammento dall’onda che presto li travolgerà e che, se non stanno attenti, spazzerà via tutto – ciò che c’era e ciò che c’è – travolgendoli e non lasciando loro niente.
Come le onde-capelli della copertina di Gottardo scorrono al contrario, così il tempo – lo vorrebbe Mattia – è un tempo che in qualche modo deve essere mandato all’indietro. Perché ce ne vuole sempre di più di tempo, ancora un po’, ancora un giorno, un’ora, un mese, un minuto ancora, per “imparare a dire addio a ciò che amiamo”.
E ciò che Mattia ama è sua madre, che il narratore esterno chiama così, “madre”, con un poco di freddezza nell’incipit, e che diventa “mamma”, parola tenerissima e antica, nell’ultima pagina. E questa parola, che sembra come pronunciata per la prima volta da Mattia alla fine del romanzo, è il risultato di una nuova appropriazione, di un modo nuovo e diverso di essere e di tornare figlio. Con questo romanzo Marco Peano ci racconta come anche il tempo, talvolta, può essere inventato.
Il libro L’invenzione della madre (minimum fax, 2015) è stato eletto ieri, 8 dicembre, libro dell’anno FAHRENHEIT, durante la fiera della piccola e media editoria, Più libri più liberi.