GLI INFINITI VOLTI DI VIVIAN MAIER
C’era una volta il collezionista John Maloof.
Maloof era uno storico dilettante che abitava di fronte a una casa d’aste.
Un giorno vinse per 380 dollari una scatola. Dentro alla scatola ci sono 30.000 negativi di fotografie scattate a metà del secolo tra Chicago e New York. Sono i volti delle persone che avevano popolato quelle città nel corso degli anni. L’autrice delle fotografie si chiamava Vivian Maier.
Vivian Maier ha passato la vita a catturare il mondo, come una ladra di immagini.
I minimi dettagli del panorama urbano li racchiudeva in suggestive composizioni fotografiche.
Maloof ha subito amato quelle fotografie e ha cominciato a cercare altri scatti di Maier, accumulando più di 100.000 negativi, stampe, 700 rotoli di pellicola a colori, filmati, interviste, e anche telecamere.
Numerosi sono gli autoritratti.
Ma la fotografa non ha mai parlato di sé e del suo lavoro, se non attraverso le fotografie.
Si tratta di un’esegesi da fare a posteriori, per trovare un filo rosso, per immaginare i perché che stanno dietro al suo percorso artistico. Viviana Maier è un mistero: le motivazioni che la spinsero a scattare così tante fotografie di persone mai si saprà, si possono ipotizzare idee a riguardo, senza risposte definitive.
C’è qualcosa di inquietante in Maier, di bellissimo e inquietante, di strano. I suoi autoritratti sembrano dire: ero parte della società che documento, eppure mi sento estranea.
Il suo sé più intimo, il suo domandare, viene fuori dagli autoritratti, e pure la scelta di ritrarre tutti quei personaggi silenziosi che affollavano le vie di Chicago e New York dice molto di lei, del suo interesse verso il mondo, del suo tentativo di intrappolarlo.
Quello di Maier sembra un viaggio senza meta, senza capo né coda, con un inizio ma senza una fine.
Quelle facce che ha scelto di immortalare potrebbero essere infinite.