OTTIMISTI E PESSIMISTI, PAROLA A ERICH FROMM
L’ottimismo è una forma alienata di fede, il pessimismo è una forma alienata di disperazione. Avere fede significa osare, pensare l’impensabile, ma agire entro i limiti del possibile. Così il filosofo e psicologo tedesco Erich Fromm si è espresso, circa quella parola che spesso è un invito: “Sii ottimista!”, “Qui serve un po’ di ottimismo!”. La parola che fa rabbrividire i pessimisti cronici.
Ma chi sono gli ottimisti e chi i pessimisti?
Per Fromm non sono molto diversi.
Nel 1973 Fromm pubblica Anatomia della distruttività umana, “una guida per comprendere le radici, gli autentici caratteri e gli antidoti delle crisi di violenza che stravolgono le società contemporanee”. Nel saggio rimarca come l’accrescere della produttività, in risposta ai bisogni crescenti dell’uomo, la divisione del lavoro, la suddivisione della società in cerchie, in élite, portino l’essere umano a sperimentare l’oppressione, inaccettabile per la sua natura. Il progredire della storia porta, quindi, all’aumento della violenza. Ma:
Mutando le condizioni sociali e tutto il sistema che le genera attraverso il tempo, potremo porci nella condizione di ridurre ed, anche, di eliminare il fenomeno della distruttività umana.
Perché distruttività e crudeltà sono sì nell’uomo, nella sua esistenza, ma non fanno parte del suo istinto, dice Fromm. La natura umana è duale: siamo consapevoli dei dati rilevanti circa la nostra sopravvivenza, ma ci illudiamo a causa dei nostri desideri. Ci capita questa qualcosa, che Fromm spiega:
L’uomo nella misura in cui non abbia raggiunto la relazione creativa: cerca di compensare alla meglio la immanente depressione virtuale con la routine, l’idolatria, le tendenze distruttive, la cupidigia di possesso, il desiderio di fama, ecc. quando una di queste compensazioni venga meno, la sua sanità è minacciata.
Per Fromm, l’affermazione “la natura umana è maligna” è molto più facile da fare. Chiunque può dimostrare che in fondo siamo cattivi. Si tratta di un modo per cucire un alibi ai nostri peccati. Ciò porta a disperarsi: non c’è nessuna soluzione se, in fondo, tutti noi vogliamo il male. E ciò porta alla distruzione. Il cinismo è infatti più seducente nella nostra cultura, nella sua forma di rassegnazione disfattista, mascherato come pensiero critico. E Fromm lo spiega con efficacia:
L’atteggiamento della maggioranza è di completa indifferenza per il futuro dell’uomo. I non indifferenti sono ottimisti oppure pessimisti. Gli ottimisti credono nella continua marcia del progresso, abituati a identificare la realizzazione umana con la realizzazione tecnica, libertà umana con la libertà del consumatore di scegliere.
E i pessimisti? Non sono molto diversi dagli ottimisti.
Vivono altrettanto comodamente e sono altrettanto disinteressati. Il destino dell’umanità non li preoccupa. E non sono disperati, cercano di proteggersi dalle domande interiori con la convinzione che niente può essere fatto.
Fromm dice che per superare questo dualismo è necessaria la fede razionale nelle capacità dell’uomo di districarsi dalla fitta rete di circostanze fatali che ha creato. Il suo radicalismo umanista consiste nel tentativo di liberare l’uomo dalle illusioni, prevede e suggerisce cambiamenti necessari, non solo nella struttura economica e politica, ma anche nei valori, obiettivi e condotta personale. Quella che Fromm esige è un’impazienza attiva, è la ricerca di una possibilità di azione nel regno del possibile. La fiducia va riposta nella creatività umana, perché:
Se l’uomo non può creare qualcosa… per sfuggire al senso insopportabile di impotenza vitale, di essere nulla, non ha altra soluzione che riaffermarsi distruggendo quella vita che è incapace di creare.