CHIAMATEMI ISMAELE, ISMAELEEE! IL LIBRO DEI FINCIPIT
La voce verbale incipit è la parola iniziale della formula latina che introduce il titolo di un’opera. In filologia e bibliografia con incipit si fa riferimento alle prime parole con cui inizia un testo. Bene. C’è un libro, di Alessandro Bonino e Stefano Andreoli, che si intitola Sempre cara mi fu quest’ernia al colon. Il libro dei incipit (Milano, Mondadori, 2007). E raccoglie dei fincipit, e cosa sono i fincipit?
Lo spiegano gli autori:
Il fincipit è un gioco semplice e meravigliosamente divertente. Si prende l’incipit di un’opera famosa, sia essa un romanzo, una poesia o una canzone. E proprio nel bel mezzo della sua solennità si inserisce una frase, un verso, un colpo di frusta comico che la porta inesorabilmente verso una conclusione brusca ed esilarante.
Dice Stefano Bartezzaghi nella prefazione:
A volte è la letteratura stessa che si nutre di giochi come questi, e variare le parole dei grandi può essere sia un modo per farsene beffe sia un modo per conoscerle meglio. Proprio Carducci, forse il poeta più parodiato della letteratura italiana, disse: Parodia è riconoscimento della poesia.
Forse per capire cosa sia un fincipit serve qualche esempio.
Quello di Moby Dick di Melville potrebbe essere:
Chiamatemi Ismaele, che io non c’ho campo.
e anche:
Tutti ormai lo chiamavano don Ciccio.
Anche se il suo vero nome era Ismaele.
Quello della Pioggia nel pineto di D’Annunzio:
Taci.
Ti puzza l’alito.
E passando alle canzoni si può spaziare da
Alice guarda i gatti e i gatti:
— Be’?!
e ancora
Maramao, perché sei morto?
— Cirrosi.
fino a
Ecco, la musica è finita
gli amici se ne vanno
e adesso
chi li lava tutti quei cazzo di bicchieri?
ma anche:
Ho visto le menti migliori della mia generazione
e ho pensato “Ah, andiam bene”.
Il gioco continua qui.