CESARE PAVESE PIPA

HO DATO POESIA AGLI UOMINI. I LUOGHI DI CESARE PAVESE A SANTO STEFANO BELBO

Oggi comincia la rassegna Con gli occhi di Cesare Pavese e si parte per Santo Stefano Belbo, in provincia di Cuneo, il paese dove lo scrittore è nato. Là, nelle Langhe, la famiglia Pavese andava in villeggiatura in estate. Tanti sono i luoghi che compongono la geografia letteraria dello scrittore, e sono tutti da visitare.

La casa natale, ora priva del suo originario giardino, la casa di Nuto il falegname, poco prima della Mora: Nuto e Pavese non si sono mai persi di vista, è il coprotagonista di La luna e falò. Dell’universo di questo romanzo, l’ultimo pubblicato quando lo scrittore era ancora in vita, fa parte anche la collina di Gaminella, grande e imponente, una collina come un pianeta. E poi c’è la stazione, dove hanno preso il treno tanti personaggi di Pavese, e l’albergo dell’Angelo, dove Pavese soggiornava una volta venduta la casa natale. E infine, c’è il cimitero di Santo Stefano Belbo, dove riposa lo scrittore. Sulla sua lapide sono impresse le parole Ho dato poesia agli uomini.

Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. Siccome sono ambizioso, volevo girare per tutto il mondo e, giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti: non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? Ebbene, io vengo di là.

Così Pavese ha descritto Santo Stefano Belbo. E Santo Stefano Belbo è entrato nei suoi romanzi, con i suoi abitanti, il profumo delle vendemmie e delle fienagioni e il rumore dei canneti smossi dal vento. Ora il paese conserva tesori, testimonianze e resti nella forma sì di paesaggi, ma anche di oggetti.

La Fondazione Cesare Pavese, infatti, custodisce, per esempio, le pipe dello scrittore. La sua penna. E la copia originale dei Dialoghi con Leucò, su cui lo scrittore aveva lasciato il suo messaggio prima del suicidio: Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi.

La casa natale
 è un forziere di decine di oggetti tra i più vari. Dipinti, ritagli di giornale, fotografie dietro vetrine, che tracciano un percorso dell’infanzia dello scrittore.

E affacciarsi al balcone dell’Albergo dell’Angelo è ripetere lo stesso gesto di Anguilla (Pavese) in La luna e i falò: si ritorna a casa e si guarda fuori. Con gli occhi di Cesare Pavese.