ACQUA, ERBACCE, CAMPI DI GRANOTURCO, POLVERE E PAROLE. LEGGERE LILA DI MARILYNNE ROBINSON
Allora, non abbiamo nessun posto dove andare. Dove andiamo?
Questa è l’ultima frase della prima pagina di Lila, il romanzo di Marilynne Robison che arriva dopo Casa e dopo Gilead. L’abbiamo letto quest’estate, in un giorno solo, perché Lila è uno di quei romanzi che ti fanno sembrare il resto una perdita di tempo. E poi, arrivati alla fine, a pagina 273, ti lasciano orfano, proprio come Lila, la protagonista di questo capolavoro. Orfano e con una strana voglia di andare a cercare un campo di granoturco, un fiume per bagnarsi le caviglie, un po’ di sole che scotta le spalle e le guance. Una strana voglia di sapere come ci si sente, completamente soli, in mezzo a un mondo gigantesco fatto solo di polvere, come sono gli Stati Uniti d’America di Lila.
Lila avrà cinque o sei anni, vive in una casa. Piccola, rannicchiata, viene rubata da Doll. Sì, rubata. Doll è una donna dura, la fatica le ha segnato le mani, un passato oscuro le è impresso in faccia. È notte, naturalmente, e arrivano fino nella casa di una vecchia. La vecchia offre loro un po’ di pane di mais e una ciotola di latte crudo. La bambina mangia e beve con fatica, mentre le due lavorano intorno a lei per lavarla dentro una bacinella d’acqua calda. Uno straccio, un pezzo di sapone, strofinano le ferite dei gatti, i morsi delle pulci e delle zanzare, tolgono le schegge che si sono conficcate nelle piccole ginocchia di Lila, curano le ferite alla sua mano, che non smette mai di mordersi. Prendono un rasoio e le tagliano i capelli, con le forbici, prima, per togliere i nodi. La schiuma le va negli occhi, Lila le manda all’inferno entrambe.
È in questa scena, posta dall’autrice proprio all’inizio del romanzo, che sono riassunti i temi principali, tutti quelli che affronterà e scioglierà nelle pagine seguenti, con una scrittura piena di ritmo, un ritmo lento ma implacabile, come quei treni a vapore che solcavano le pianure americane.
Il tema della sofferenza. Del perdono. Del soccorso.
La questione della salvezza: vuoi essere salvato, oppure no? E questa salvezza è vera? Dura nel tempo, oppure concede solo una tregua? Come riposarsi all’ombra di un albero, dopo la giornata di lavoro nei campi. Come trovare una baracca, per ripararsi dall’inverno che sta arrivando. Il primo bagno di Lila coincide con un primo battesimo: non sacro, pagano. È proprio dopo questo primo bagno che la bambina conquista il proprio nome, è Doll a sceglierlo per lei. Lila. Un nome bello, che potrebbe portare fortuna.
Marilynne Robinson ti porta dentro questa storia con una scrittura dal ritmo incessante, abbiamo detto, che assomiglia anche allo scorrere impetuoso e mai sazio dell’acqua di un grande fiume, quelli che Doll e Lila cercheranno sempre, da quando si uniranno a un gruppo di braccianti, una famiglia allargata e mai sicura, una famiglia tenuta insieme dalla necessità . L’unica necessità è avere da lavorare, due soldi, un cesto di mele, un pollo da arrostire. La necessità è trovare un giusto riparo per la notte, accendere un fuoco. La necessità è aver quel che basta per sopravvivere, niente di più. E un fiume cercherà Lila, una volta sola, alle porte di quella cittadina dal nome biblico, Gilead. E l’acqua è la metafora che governa il libro, l’acqua che monda i peccati, l’acqua che salva.
Ed è proprio quando Lila sarà sola, completamente sola, sulle rive del fiume vicino a Gilead, che incontrerà quel vecchio uomo, il reverendo Ames. Di ciò che succede tra loro non vi diciamo nulla, solo che c’entra ancora l’acqua, quella con cui Lila curerà , per prima cosa, l’orto della canonica, poi un roseto che decora una tomba, quella del battesimo, stavolta sacro, quella che cadrà , sotto forma di neve, il giorno in cui nascerà un bambino, quella in cui giace un pesce gatto pescato da Lila, che userà un coltello per pulirlo.
Il libro:
Marilynne Robinson, Lila