SERPENTI PRUDENTI E PECORE CORAGGIOSE
“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.” (Matteo 10, 16)
Basta leggere un unico versetto del Vangelo per rendersi conto di quanto la Bibbia sia piena di animali. Questi, infatti, sono sempre stati usati per parlare dell’uomo, per capire l’uomo e per descrivere particolari disposizioni d’animo; sono simboli che ci aiutano a comprendere la vita.
E partendo proprio da quel versetto del Vangelo di Matteo, Vito Mancuso ci insegna ad essere prudenti come serpenti, mentre Michela Murgia e Marinella Perroni ci spiegano cosa vuol dire essere pecore; di lupi e colombe parleremo un’altra volta.
La parola italiana “prudenza” non ha esattamente lo stesso significato della “prudentia” latina, che invece si potrebbe meglio tradurre con “discernimento”. E il discernimento è la capacità di capire distinguendo, operando una separazione tra ciò che è e ciò che non è, tra il bene e il male. È la capacità di valutare e di muoversi di conseguenza, è il coraggio – e in questo senso è molto diverso dalla nostra idea di prudenza – di guardare fuori e dentro di sé senza fuggire. Il discernimento è la prima delle quattro virtù cardinali e, come il nord in una bussola, dà la direzione a tutte le altre.
Nell’immaginario religioso il serpente ha molteplici facce, spesso è simbolo del male perché avvelena, attacca all’improvviso ed è letale, quindi è una minaccia per la vita. Ma la figura del serpente è anche positiva: in molte religioni è un simbolo fallico e dunque rappresenta la trasmissione della vita, l’energia vitale. Il ricambio annuale della sua pelle può essere letto come simbolo della giovinezza. Ancora, il serpente è emblema dell’astuzia e dell’intelligenza, del veleno e dell’antidoto, della minaccia ma anche della protezione.
E dunque, l’unica realtà capace di contenere tutte queste antinomie è la vita: il serpente rappresenta la sconcertante ambiguità della vita, dice Mancuso, e nega all’uomo ogni punto fermo. Ma allora, in questo senso, il serpente non è un nemico, non rimanda al peccato originale, ma a un caos originale in cui bisogna mettere ordine, cui bisogna dare una direzione e un senso.
Per fare questo, per essere prudenti come serpenti (dunque per avere discernimento nella nostra vita), è necessario essere un sistema aperto: chiusura e apertura, come l’universo, come la cellula, come il cuore.
E veniamo alle pecore: un animale che nella tradizione cristiana è stato considerato troppo a lungo simbolo di sottomissione e di docilità. “Niente di più falso – dice Michela Murgia, – chi ha visto delle pecore al pascolo sa quanto sia difficile gestirle e proteggerle!”
Quello che ci siamo persi è il rapporto confidenziale tra pecore e pastore nel Vangelo, le pecore conoscono il proprio pastore: “Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.” (Giovanni 10, 3-4)
Questa dimensione intima è venuta a mancare, si è smarrita nella spersonalizzazione del gregge, che ci vuole tutti creduloni e ingenui.
Murgia e Perroni si confrontano in particolare sulla figura di Gesù come “porta delle pecore” (Giovanni 10, 7). Questa porta attraverso cui passano le pecore è quella che delimita lo spazio dell’ovile, luogo sicuro e protetto; dal pascolo, pericoloso ma ricco di cibo. Le pecore devono passare da quella porta per arrivare a ciò di cui hanno bisogno ma sono libere di farlo. Gesù è la libertà che ci conduce a Dio, Gesù è la porta per recuperare la serenità, la protezione e il nutrimento.
Ma noi, come pecore (e anche come serpenti) dobbiamo avere il coraggio di attraversare quella porta.
Marta Marzola, 26 anni, si dedica alla comunicazione da quando ha 3 anni: dalle prime parole in italiano a quelle in lingue morte al Liceo Classico, dai testi pubblicitari in un’agenzia di Milano alla Comunicazione Interculturale all’Università di Torino.