don delillo ritratto bianco e nero

DA PUNTO OMEGA A ZERO K. TORNA DON DELILLO

Tutti vogliono possedere la fine del mondo.
Questo ha detto mio padre, in piedi, davanti alle finestre all’inglese del suo ufficio di New York: gestione del patrimonio, dynasty trusts, mercati emergenti. Stavamo condividendo un momento raro, contemplativo, col tocco finale dei suoi occhiali da sole vintage che portavano la notte fra quattro mura. Osservavo con attenzione le opere d’arte, vagamente astratte, e cominciavo a capire che quel silenzio prolungato seguito alla sua osservazione non apparteneva né a me né a lui. Pensavo a sua moglie, la seconda, l’archeologa, quella la cui mente e il cui corpo, sempre più provati ormai, presto avrebbero cominciato a fluttuare, come da tabella di marcia, nel vuoto.
Quel momento è poi riaffiorato alcuni mesi dopo, all’altro capo del mondo. Ero seduto, con la cintura allacciata, sul sedile posteriore di una berlina blindata dai finestrini fumé, ciechi in entrambe le direzioni. L’autista, dietro il pannello divisorio, indossava la maglia di una squadra di calcio e un paio di pantaloni da tuta con un rigonfiamento su un fianco che lasciava intendere la presenza di un’arma. Dopo un’ora di strade accidentate, l’uomo ha fermato l’auto e ha detto qualcosa in un dispositivo che aveva sul risvolto della maglia.
Poi ha girato lentamente il capo di quarantacinque gradi in direzione del sedile posteriore, verso destra. L’ho preso come il segnale che era il momento di slacciarmi la cintura e scendere.

Così comincia Zero K di Don DeLillo, la traduzione è di Federica Aceto, la casa editrice è Einaudi, le pagine sono 240. Il “grande sciamano della scuola paranoide della letteratura americana” ritorna dopo Punto omega (Point Omega, 2010). Ritorna e lo incontriamo al Circolo dei lettori, il giorno è lunedì 24 ottobre, ore 21

Don DeLillo è nato nel Bronx nel 1936 e lì è cresciuto, nel quartiere italo-americano. Ha frequentato la Hayes High School e poi la Fordham dove si è laureato in Communication Arts, quindi ha lavorato per un po’ come copywriter presso l’agenzia Ogilvy & Mather. Ora vive poco fuori New York con sua moglie. Americana è il suo primo libro, pubblicato nel 1971 dopo 4 anni di lavoro in un piccolo monolocale di Manhattan. E dopo Americana sono seguiti gli altri, in fretta. Cinque in sette anni. E sono arrivati i lettori, fedelissimi.

E infatti i romanzi di DeLillo contengono divinazione e profezia. La sua prosa fa venire in mente il deserto all’alba, come un bagliore che arriva piano e si appropria di ciò che illumina.

Come nel libro precedente, Punto omega, anche in Zero K DeLillo si occupa delle cose ultime. Estinzione, oblio, morte. E le cose ultime trovano nel nuovo romanzo un luogo fisico, è Convergence, un’azienda tecnologica nascosta nel deserto del Kazakistan come un’astronave intergalattica, autosufficiente, sotterranea, finanziata da ricchi mecenati e agenzie governative. Dentro Convergence trovano dimora le riflessioni dello scrittore sul tempo e sulla fine. Infatti l’azienda si occupa di sconfiggere il tempo e la fine, tramite la crioconservazione di corpi malati. Vivi, ma addormentati e scintillanti. Sospesi. Fino al giorno in cui le generazioni future sapranno prendersene cura. Tempo, fine e fede. La speranza è qualcosa di lontano, non è una cosa di oggi, è possibile, forse, dopo.

Se andiamo verso il Punto omega, espressione che descrive il massimo livello di complessità e di coscienza verso il quale sembra che l’universo tenda nella sua evoluzione, in questo romanzo DeLillo crea un luogo che è una parentesi dalla marcia implacabile verso quella fine. Per sottrarsi, per mancare l’appuntamento, congelati e scintillanti, fuggendo completamente la storia, ciò che accade fuori. E quindi per goderne solo, forse, il massimo splendore finale.


Hanno scritto di Zero K:
Federica Aceto, traduttrice, su Biancamano2
Mario Bonaldi su Rolling Stone Italia
Gianni Riotta su La Stampa
Luigi Mauriello su Finzioni
Francesca Borrelli sul Manifesto (Le parole e le cose)