SE IL CUORE NON SI SPEZZA, SI PIETRIFICA. HANNAH ARENDT
Il 14 ottobre 1906, a Linden, sobborgo di Hannover, nasceva Hannah Arendt. L’autrice di La banalità del male fu allieva di Heidegger a Marburg, di Hussler a Friburgo e si laureò in filosofia sotto la guida di Karl Jaspers con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino. Filosofa, storica e scrittrice, Arendt non parlava molto di sé. Traccia dei suoi pensieri privati rimane nei quaderni, nelle lettere e nei diari, vi abbiamo raccontato della relazione sentimentale che, a diciannove anni, intrattenne con Heidegger, all’epoca trentaseienne, proprio a partire dal loro scambio epistolare.
Dal giugno del 1950 al luglio del 1971 Arendt appuntò i propri pensieri su quaderni, sono 29 a noi pervenuti, pubblicati da Neri Pozza. Li chiamava notebooks, oppure Denktagebuch “diario di pensiero”: non proprio diari, ma piuttosto quaderni di lavoro.
In una pagina del maggio 1953, Arendt parla di amore, potenza e non sentimento, potenza dell’universo. Buona lettura.
L’amore è una potenza e non un sentimento. S’impadronisce dei cuori, ma non nasce dal cuore. L’amore è una potenza dell’universo, nella misura in cui l’universo è vivo. Essa è la potenza della vita e ne garantisce la continuazione contro la morte. Per questo l’amore “supera” la morte. Appena si è impossessato di un cuore, l’amore diventa una potenza ed eventualmente una forza. L’amore brucia, colpisce l’infra, ovvero lo spazio-mondo fra gli uomini, come il fulmine. Questo è possibile soltanto se vi sono due uomini. Se si aggiunge il terzo, allora lo spazio si ristabilisce immediatamente. Dall’assoluta assenza di mondo (=spazio) degli amanti nasce il nuovo mondo, simboleggiato dal figlio. In questo nuovo infra, nel nuovo spazio di un mondo che inizia, devono stare ora gli amanti, essi vi appartengono e ne sono responsabili. Proprio questa è però la fine dell’amore. Se l’amore persiste, anche questo nuovo mondo viene distrutto. L’eternità dell’amore può esistere soltanto nell’assenza di mondo (dunque: «e se Dio vorrà, ti amerò anche di più dopo la morte» — ma non perché allora io non “vivrò” più e di conseguenza potrò forse essere fedele o qualcosa del genere, ma a condizione di continuare a vivere dopo la morte e di aver perduto in essa soltanto il mondo!) o come amore degli “abbandonati”, non a causa dei sentimenti, ma perché, assieme agli amanti, è andata perduta la possibilità di un nuovo spazio mondano.