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I 3 DOLCI RICORDI DI NATALE

Vi abbiamo chiesto, insieme a Cuki, di raccontarci il vostro dolce ricordo legato ai giorni di festa. E vi abbiamo proposto tre video-ricette per ispirarvi – realizzati da Ferrafilm Produzioni – con Paolo Vizzari, Clara e Gigi Padovani e Sara Porro.

Ecco i tre che abbiamo scelto!


1. Dolce ricordo di Struffoli
Maria Luisa Miraglia

Il mio ricordo più dolce legato al Natale è abbastanza recente, risale a circa sei anni fa. Sono nata e cresciuta a Benevento, nel cuore della Campania, e i dolci sono sempre arrivati sulla mia tavola senza che ci fosse bisogno del mio aiuto. Pastiere, zeppole, babà, mostaccioli…elencarli sarebbe impossibile! La preparazione dei dolci è stata sempre riservata alle donne della mia famiglia, ognuna troppo gelosa della propria ricetta per permettere ai ‘piccoli’ di ficcanasare.

Naturalmente, i miei dolci preferiti li fa la nonna. Si chiama Adriana, ha 87 anni, non ha mai indossato un paio di pantaloni e non l’ho mai vista senza orecchini. Sua madre si è ritrovata vedova con tre figli quando era ancora molto giovane, ed è riuscita a preparare una delle sue ultime pappe per me, sua pronipote. La bisnonna Maria di cui porto il nome è anche il punto di riferimento per le ricette: ‘come faceva mammà’ è la frase con cui ad ogni pranzo la ricordiamo.

Sei anni fa mi sono trasferita a Padova per l’università, e sotto le feste, in procinto di tornare (scendere!) ho preso il coraggio a due mani e chiesto a mia nonna di poterla aiutare con il dolce natalizio per eccellenza: gli struffoli. Si tratta di palline di pasta fritta ricoperte di miele, torrone e aromi da innaffiare con lo Strega, storico liquore delle mie parti. Incredibilmente, mia nonna ha accettato. Non avevo idea di cosa mi stesse aspettando! Convocata alle 7 e mezza del mattino, mi sono ritrovata a mescolare un impasto di ben 18 uova, farina e bicarbonato, mentre l’autorità locale dettava le dosi leggendole su un quadernino rosa zeppo di ricette ed errori grammaticali, appartenuto a sua madre ‘che non aveva studiato’.

Nelle sei ore successive ho imparato verbi nuovi come allollare, termine tecnico che indica l’antica arte di fare dei rotolini di pasta lunghi e sottili, da cui tagliare una per una le palline di pasta da friggere. Ho raccontato di me e ascoltato storie di un’altra epoca. Ho decifrato le ricette scritte a mano, dagli sciù alla crema al gattò di patate. Le ho fatto un massaggio alle spalle, che si erano insellate. Ho bevuto con lei un bicchierino di liquore, ma questo non l’ho incluso nel resoconto fatto a mia madre. Dettaglio non trascurabile, mentre aspettavamo che lievitasse l’impasto ho visto Massimo Giletti in tivvù.

E alla fine abbiamo confezionato il risultato, colorato, scintillante di miele, molto promettente. Da quel Natale sono tornata ogni anno da mia nonna ad allollare, ma l’emozione di quella mattina è rimasta insuperata. Dopo aver avuto problemi di salute lo scorso anno, l’inflessibile Adriana ha acconsentito a diffondere la sua ricetta di famiglia.
Ma struffoli buoni come i suoi non siamo mai riusciti a farli.


2. Dolce ricordo dalle Valli del Natisone
Anna Cencig

I giorni di festa di quando ero bambina erano soprattutto mandarini, che in Paese si vedevano solo a Natale. Il mio Paese è molto piccolo e oggi quasi disabitato, una trentina di case di sasso, e stalle, e orti e staccionate, divisi da sentieri asfaltati. Quando ero bambina anche i sentieri erano di sassi e nelle stalle c’erano le mucche, nei pollai le galline e negli orti si coltivavano insalate, carote e sedani, ai bordi cresceva la camomilla e l’ortica. Adesso è diverso.
Si trova sul confine tra l’Italia e la Slovenia, per arrivarci è tutta salita e bisogna passare il ponte sul Natisone.

Quando ero bambina, la vigilia di Natale, prima di andare alla messa, si cucinavano dei dolci bolliti, piccoli e teneri.
Li preparava mia madre e io l’aiutavo insieme alle mie sorelle. In casa arrivavano molti compaesani, per gli auguri, ma mia madre era molto concentrata: prima a pelare le castagne, raccolte da noi bambine in autunno nei boschi, castagne molto piccole. Bisognava togliere la buccia, anche la seconda pellicina, quella amara. Le bolliva, poi, nello spolert.
Lo spolert è la cucina di ghisa che serve anche a scaldare la casa, i cerchi di metallo si tolgono in base alla grandezza della pentola e funzionava anche come forno. Occupa gran parte della cucina, che è anche sala da pranzo e salotto.
Noi stavamo tutte lì, noi sorelle insieme a nostra madre, che dopo le castagne si occupava di soffriggere il burro in padella, era il burro del latte delle nostre mucche, insieme a due pugni di pangrattato, e uvetta, cannella e zucchero e cacao.
A questo impasto dolce e così buono aggiungeva le castagne schiacciate. Il ripieno era pronto.

Noi bambine ne facevamo palline, grandi più o meno come noci, mentre nostra madre faceva lo stesso con la pasta, fatta solo di acqua, farina, un poco di sale e lievito. La pallina di pasta, nostra madre la schiacciava tra i palmi delle mani, dentro ci infilava il ripieno e poi tirava su i due lembi di pasta per poi chiuderli con le dita, schiacciandone i bordi.  Gli strucchi sono a forma di mezzaluna e vanno bolliti nella pentola per dieci minuti. Potevamo mangiarli solo dopo la messa, ma capitava che io e le mie sorelle ne prendessimo uno di nascosto, ancora caldo, e lo mangiassimo lungo il sentiero per la chiesa.


3. Dolce ricordo di pinza bolognese
Gianni Calzolari

Il mio dolce ricordo riguarda l’infanzia. Mio padre aveva un ristorante nella provincia di Bologna, a quei tempi non si stava aperti il giorno di Natale bensì solo la notte, per il veglione. Mio padre era cuoco ma i dolci non gli piaceva cucinarli. Era uno da lasagne, da arrosti e tortellini, i dolci della tradizione li cucinava la signora Elsa. Ma per Natale mio padre, che si chiamava Piero, preparava per me, che ero il più piccolo, per i miei due fratelli e per mia sorella, un dolce molto antico.

Era la pinza, un rotolo di pasta dura che dentro contiene un ripieno di mostarda bolognese, fatta di prugne e mele cotogne. Lui non ci metteva altro, né uvetta, né pinoli. Mio padre era uno che faceva le cose come andavan fatte. La mostarda la si preparava d’estate, con la frutta del contadino, e bolliva in paioli di latta in cortile. L’impasto della pinza è come quello delle raviole o della crostata e si conserva a lungo. Ma non è tanto questo che voglio raccontarvi, a me nemmeno piacciono i dolci.

Quello che succedeva la mattina della vigilia era molto bello. Una cosa che non si scorda, anche adesso che mio papà non c’è più. Lui arrivava con la pinza tagliata a fette, era un omone mio padre, apriva la porta della camera mia e dei miei fratelli, che dormivamo insieme, sopra al ristorante. Teneva il piatto, di quelli spessi di una volta, dove c’era il dolce e dei bicchierini di liquore, un liquore dolce anche quello, quasi per niente alcolico, che non mi ricordo come si chiama.
Era davvero la cosa più bella di quei giorni, esser svegliati da nostro padre con quel piccolo regalo in anticipo.