PAOLO NORI UNDICI TRENI

SONO PESSIMISTA MA ME NE DIMENTICO SEMPRE. PAOLO NORI TORNA CON “UNDICI TRENI”

La frase che apre l’ultimo romanzo di Paolo Nori, Undici treni (marcos y marcos), al Circolo dei lettori martedì 7 febbraio alle ore 21, è di Cesare Zavattini. Sono pessimista, ma me ne dimentico sempre.

C’è da dimenticarsene del pessimismo, leggendo Paolo Nori, capace in questo, da poco uscito, come in tutti i suoi romanzi, di raccontare le cose del quotidiano con uno stupore che fa star meglio. Produce qualcosa che non è spasso e non è divertimento, il sorriso che esce è quello che ti viene quando capisci qualcosa, qualcosa che era lì e che non avevi capito fino a un momento prima. È ciò che fa la letteratura, più vera di quello che è vero, la realtà, come direbbe lui, che non spiega, non insegna, ma ti fa accorgere di qualcosa. Che è ben diverso.

E lo fa con le parole, le parole di cui è fatta, che non sono le parole che stanno da qualche parte sopra la testa, lassù, come racconta spesso lui, quelle che bisogna obbligarsi a usare, le parole alte che si capiscono poco ma che fanno sembrare colti, intelligenti. Le parole sono quelle che si usano ogni giorno, e leggendo un libro di Nori questo succede, succede che venga voglia di prestarci attenzione alle parole.

In Undici treni ci sono due personaggi, diciamo, principali: sono Baistrocchi, che ritorna dopo Manuale pratico di giornalismo disinformato (marcos y marcos, 2016) e Stracciari. Stracciari è indimenticabile. E c’è una cosa che fa Stracciari in particolare: lui registra i silenzi. Ma non solo i silenzi, registra anche i suoni. Stracciari è uno che non ha mai detto “Amore”, “Caro”, “Tesoro” alla sua ragazza, ma si innamora con una delicatezza che commuove. Stracciari alle parole presta una certa attenzione, e pure Baistrocchi. E Baistrocchi, nel libro, si ritrova a sbobinare le registrazioni del suo, diciamo, amico: a pagina 80 e 81 trovate un lunghissimo elenco di parole.

Sono le parole che si appiccicano alla lingua, le parole parassite. Quelle che Paolo Nori ha raccolto nel suo blog e Baistrocchi raccontandosi nei libri. Leggendo questi elenchi, succede un fatto straordinario: parlando ci si accorge che queste parole parassite in effetti non le controlliamo. Sono loro che ci parlano, non noi a dirle. Eccone alcune tratte dal blog:

se c’è un quadro, è allarmante, se c’è uno stupore, è infantile, se c’è uno sciopero, è generale, se c’è una folla, è oceanica, se c’è un lupo, è solitario, se c’è un cavallo, è di Troia, se c’è una botte, è di ferro, se c’è un terrorista, è islamico, se c’è un porto, è delle nebbie, se c’è un silenzio, è di tomba, se c’è un ombra, è di dubbio, se c’è una morsa, è del gelo, se c’è una resa, è dei conti, se c’è una verità, è sacrosanta, se c’è una salute, è di ferro, se c’è una svolta, è epocale, se c’è un genio, è incompreso, se c’è un ok, è del senato, se c’è uno sciame, è sismico, se c’è un consenso, è informato, se c’è un secolo, è scorso, se c’è una dirittura, è d’arrivo, se c’è un pallone, è gonfiato, se c’è un cervello, è in fuga, se c’è una repubblica, è Ceca, se c’è un battesimo, è del fuoco, se c’è un dispiacere, è vivo, se c’è un carattere è cubitale, se c’era un saluto, era rispettoso, se c’era un pensiero, era deferente, se c’era un momento, era difficile, se c’era una carta, era fondamentale, se c’era un consiglio, era superiore (e della magistratura), se c’era un’unità, era nazionale, se c’era una prova, era dura, se c’era un’unione, era europea, se c’eran dei diritti, eran fondamentali, se c’era un popolo, era italiano, se c’era un bene, era comune, se c’era un capo, era dello stato, se c’era un garante, era della costituzione, se c’era un arbitro, era imparziale.