ALBERT EINSTEIN SULLA COMPASSIONE PER TUTTE LE CREATURE
La parola compassione è nobilissima. Viene da cum (con) + patior (soffro) e significa partecipare della sofferenza dell’altro come fosse la propria. Rimanda quindi a un’unità profonda e pura tra gli umani e non umani, un amore incondizionato che non chiede niente in cambio. La utilizza Albert Einstein (14 marzo 1879 –18 Aprile 1955) in una lettera per un padre in lutto.
Un essere umano è parte di un tutto che chiamiamo universo, una parte limitata nel tempo e nello spazio. Sperimenta se stesso, i pensieri e le sensazioni come qualcosa di separato dal resto, in quella che è una specie di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una sorte di prigione che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone che ci sono più vicine. Il nostro compito è quello di liberarci da questa prigione, allargando in centri concentrici la nostra compassione per abbracciare tutte le creature viventi e tutta la natura nella sua bellezza.
Il giovane figlio di Robert S. Marcus è morto di poliomielite e il grande matematico scrive. La compassione non è un’astrazione intellettuale, nella lettera, ma è un vero riconoscimento del dolore dell’altro, e l’assunzione di quel dolore come fosse proprio.