colazione da tiffany

COLAZIONE DA TIFFANY DI TRUMAN CAPOTE. LE 5 FRASI PIÙ BELLE

Oggi è il compleanno di Audrey Hepburn.
L’amatissima attrice nacque a Bruxelles il 4 maggio 1929, e da queste parti festeggiamo riprendendo in mano il capolavoro di Truman Capote, Colazione da Tiffany (1958) reso celebre anche dall’adattamento cinematografico del 1961 con la regia di Blake Edwards e Audrey nei panni elegantissimi di Holly Golightly.

Ma libro e film sono un po’ diversi:
Alcune discordanze indispettirono Truman Capote, che immaginava Holly con il volto di Marilyn Monroe, per esempio. Nel libro il narratore – che nel film è personaggio a tutto tondo – nel libro non c’è, è stato totalmente inventato: è uno scrittore senza un soldo, mantenuto da una donna sposata. Edwards non racconta la gravidanza di Holly e non accenna alla sua bisessualità, nel libro gentilmente suggerita, e anche il finale è cambiato, Holly ritrova il suo gatto e rimane a New York con Paul.


Ecco le 5 frasi più belle dal romanzo di Truman Capote, secondo noi.
Sullo scrittore, nel nostro blog, trovate anche notizie sui suoi rituali di scrittura, sul suo drink preferito, sul film tratto dal suo A sangue freddo.

1. Mi sento sempre attratto dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni. Per esempio, nella Settantesima Est c’è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appartamento newyorchese. (incipit)

2. Mentre guardavo i colori sfumati dei capelli di Holly balenare nella luce rosso-gialla delle foglie, l’amai abbastanza da dimenticare me stesso, le mie disperazioni egoistiche e da essere contento perché stava per succedere qualcosa che lei pensava felice.

3. “Non amate mai una creatura selvatica, signor Bell,” lo ammonì Holly. “È stato questo lo sbaglio di Doc. Si portava sempre a casa qualche bestiola selvatica. Un falco con un’ala spezzata. E una volta un gatto con una zampa rotta. Ma non si può dare il proprio cuore a una creatura selvatica; più le si vuole bene più forte diventa.

4. … la signorina aveva un gatto, e suonava la chitarra. Nei giorni in cui il sole picchiava forte si lavava i capelli, poi, assieme al gatto, un maschio rosso tigrato, si metteva a sedere sulla scala di soccorso a pizzicare la chitarra mentre i capelli asciugavano. Ogni volta che sentivo la musica, andavo a mettermi in silenzio accanto alla finestra. 

5. Era un lunedì d’ottobre del 1943. Una bella giornata con l’allegria spavalda di un uccello. Per cominciare, andammo a prendere un Manhattan da Joe Bell; e, quando Joe seppe della mia fortuna, bevemmo cocktails champagne a spese del locale. Poi ci dirigemmo a piedi verso la Quinta Strada, dove c’era una rivista. Le bandiere al vento, il ritmo fragoroso delle bande e dei piedi militari, sembravano non aver nulla a che fare con la guerra, davanti piuttosto l’idea di una fanfara predisposta per rendere onore a me personalmente.