L’IMPORTANZA DELLA CONSAPEVOLEZZA: PRO E CONTRO L’IMMATURITÀ
Duccio Demetrio
Elogio dell’immaturità: poetica dell’irraggiungibile
L’immaturità feconda un sentire la vita con emozioni che l’infanzia matura e l’età adulta difende. Si appartiene così a una cerchia ristretta, privilegiata, nondimeno scontenta o orgogliosa di doversi conquistare un posto nel mondo, per sopravvivere: nella fedeltà, così minacciata, a un costume della mente e dei sensi, a un bisogno di stupore e sorpresa.
(I Elogio, Per un diverso sentire, D. Demetrio)
L’immaturità, secondo Duccio Demetrio, non è solo un comportamento, è una parte costitutiva del nostro essere al mondo; va declinata come tratto fondamentale dell’essenza umana. Vi è dunque un tratto dell’immaturità che egli elogia, poiché, come afferma, costituisce un bene, un rifugio, una risorsa. È un’immaturità che non appartiene ai bamboccioni, a coloro che fuggono dalla realtà, bensì a coloro che si immergono in essa e la vivono appieno. È una risorsa che deriva dall’infanzia. È un incoraggiamento a vivere la vita adulta senza smettere mai di desiderare e provare a realizzare i propri sogni. L’immaturità profonda e poetica, di cui parla Demetrio, è uno stato di grazia, è un sentimento che mantiene alta la nostra disponibilità alla trasformazione.
Per giungere a questo non bisogna vivere e concepire la vita in diacronia, separando le diverse età della vita. Bisogna sovrapporre le tante diacronie della nostra vita per creare un’unica e armoniosa sincronia, fino a giungere al non-tempo della nostra vita, in cui infanzia, adolescenza e vecchiaia coesistono.
Fino a giungere a l’unica idea di immaturità possibile e positiva secondo Demetrio: l’immaturità consapevole. Consapevole di se stessa, del proprio compito, del proprio ruolo.
Francesco Cataluccio: Immaturità: la malattia del nostro tempo
Lo scrittore polacco Witold Gombrowicz fu il primo ad accorgersi che il segno della modernità non era la crescita o il progresso umano, ma al contrario il rifiuto di crescere.
Francesco Cataluccio analizza quella che definisce la malattia del nostro tempo partendo dall’opera Ferdydurke, in cui Gombrowicz assume l’immaturità a categoria filosofica: l’immaturità costituisce una nuova sfera della vita umana, che incatena le persone in una sorta di limbo, privo di responsabilità e progettualità future. Come scrive Milan Kundera, dunque, “i bambini non sono l’avvenire perché un giorno saranno adulti; ma perché l’umanità si avvicina sempre più a loro, perché l’infanzia è l’immagine dell’avvenire”. Si è diffusa sempre di più quella che viene definita la sindrome di Peter Pan, ovvero il rifiuto, se non addirittura l’incapacità, da parte di molti adulti, di crescere, diventare adulti e assumersi delle responsabilità. “Sono ormai scomparsi, come le mezze stagioni e le lucciole, gli adulti”. Si è perso il valore della vecchiaia, che gli antichi definivano età della saggezza, ed oggi viene vista come un’età da temere e da cui fuggire.
Tuttavia, come sostiene sempre Cataluccio, se nel Novecento si è diffusa l’immagine di Peter Pan, dell’eterno bambino che non vuole crescere, negli anni duemila si è imposta la figura di Harry Potter, che ha fornito una risposta al modello precedente. Harry Potter, infatti, va a scuola, attraversa una serie di prove, compie un percorso di crescita e di introspezione psicologia e, alla fine della Saga a lui dedicata, risulta cambiato. Lo incontriamo bambino e lo lasciamo ormai adulto.
Harry scopre infatti che il male, il nemico contro cui deve combattere, è anche dentro di lui. E nel momento in cui capisce che per sconfiggerlo deve sconfiggere quella parte di male che è in lui, diventa adulto.
In questo personaggio, nella sua storia, riconosciamo l’importanza della scuola, dell’educazione, che non deve uccidere la parte bambina di noi, la nostra infanzia, ma deve darci gli strumenti per poter essere adulti.
E cosa vuol dire, in definitiva, essere adulti?
Secondo Cataluccio vuol dire essere consapevoli.
Vuol dire saper guardare il mondo nella sua interezza, senza semplificazioni, senza scappatoie.
Costanza Franceschini