L’ULTIMA PARTICELLA D’OMBRA. TANIZAKI JUN’ICHIRŌ
Tanizaki Jun’ichirō è un scrittore singolare, autore di un libro che è una piccola gemma, si chiama Libro d’ombra (Bompiani). Lo leggiamo oggi con voi, in attesa dell’incontro con Fabiola Palmeri di lunedì 13 novembre, ore 19 al Circolo dei lettori, per scoprire le meraviglie del Giappone, in vista del viaggio.
Non ha mai finito gli studi, infatti ha abbandonato l’Università imperiale di Tokyo, città natale, per problemi economici e perché non era in grado di accettare la rigidità dell’istituzione scolastica. La letteratura diventa il suo rifugio, la sua casa, abitata specialmente dalla donna. Le figure femminili di Tanizaki sono erotiche e decadenti al tempo stesso, spesso intrise di feticismo.
In Libro d’ombra, Tanizaki difende il primato della sensibilità orientale su quella occidentale.
L’uno è il mondo dell’ombra, l’altro della luce. Si tratta di un continuo confronto, spesso ironico, sugli usi e costumi giapponesi rispetto a quelli occidentali, e su come i giapponesi avrebbero potuto appropriarsi degli strumenti occidentali, se non li avessero passivamente accettati.
E a cosa si riferisce lo scrittore?
Per esempio alla luce elettrica.
«Come sistemare gli impianti della luce elettrica, del gas, dell’acqua corrente, senza che decoro e armonia dell’ambiente siano turbati?»
«Il telefono, per esempio, dove lo collocherà? Sotto una scala forse, o a un angolo buio del corridoio, dove non attiri l’attenzione. Intanto interra i cavi elettrici che attraversano il giardino, occulta gli interruttori dentro gli armadi a muro o sotto le mensole, fa serpeggiare i fili là dove cade l’ombra dei paraventi».
«Altra storia il ventilatore elettrico. Mai, vuoi per il ronzare, vuoi per la forma, potrebbe armoniosamente inserirsi in una stanza giapponese. In casa propria se ne può fare a meno, ma ristoranti aperti in estate non possono riflettere unicamente il gusto degli esercenti».
«Ma il solo gabinetto giapponese è interamente concepito per il riposo dello spirito. Discosti dall’edificio principale, i gabinetti stanno accucciati sotto minuscoli cespi selvosi, da cui viene odore di verde di foglie, e di borraccina. È bello, là, accovacciarsi nel lucore che filtra dallo shoji, e fantasticare, e guardare il giardino…».
Lampadine elettriche, gabinetti, telefoni: quella di Tanizaki è una difesa dell’ombra, dove tutte le cose stanno meglio, senza lasciarsi vedere troppo. Il troppo dell’Occidente è mal visto, perché:
«V’è forse, in noi Orientali, un’inclinazione ad accettare i limiti, e le circostanze, della vita. Ci rassegniamo all’ombra, così com’è, e senza repulsione. La luce è fievole? Lasciamo che le tenebre c’inghiottano, e scopriamo loro una beltà. Al contrario, l’Occidentale crede nel progresso, e vuol mutare di stato. È passato dalla candela al petrolio, dal petrolio al gas, dal gas all’elettricità, inseguendo una chiarità che snidasse sin l’ultima particella d’ombra».
Foto di copertina, Tianshu Liu su Unsplash