SONO UNO STRANIERO INFELICE. JACK KEROUAC
Jack Kerouac è il poeta jazz, lo scrittore simbolo della beat generation, che tutti, o più o meno tutti, abbiamo scoperto da adolescenti e, grazie alle sue pagine, abbiamo trovato l’America e l’abbiamo sognata, desiderando di metterci On the road. E infatti proprio quella sua opera, scritta nel 1951, è il manifesto di un movimento letterario, ma anche sociale e musicale, che rifiuta le convenzioni, ricerca la libertà dalle cose e la libertà dello spirito, vuole il pacifismo e vuole la ribellione, alla censura e alla morale.
Oggi è il compleanno di Jack Kerouac, nato il 12 marzo 1922 a Lowell, Massachusetts. E noi lo festeggiamo riprendendo una sua poesia, si intitola Solitudine messicana, e si trova nella raccolta L’ultimo hotel (Mondadori). Dice Allen Ginsberg nell’introduzione, che l’orecchio di Kerouac, il suo grande amico, “seguiva la strada del suono: la strada folle, prefica in un prosa d’incerato potere. Mentre scriveva questa frase non sapeva cosa significasse, in seguito gli venne in mente che l’incerata ricopriva i rimorchi dei camion carichi di tronchi o tubature”. Nella poesia, Kerouac voleva riprodurre sulla pagina pensieri e suoni della mente, convinto che il primo pensiero è il miglior pensiero.
Dice ancora Allen Ginsberg: “La più pura qualità di Kerouac era la sua coscienza che la vita è un sogno (un sogno già finito, come ha scritto) e tuttavia è reale, sia reale sia sogno, entrambe le cose nel contempo – un’intuizione profonda, tale da troncare i nodi dell’intelligenza artificiosa, dell’estremismo, della razionalità totalitaria, le muove ragioni di essere sgarbati, da troncare tutta la fondamentale vanità , il risentimento & la pervicacia che hanno impestato la gran parte dei movimenti politici e letterari del XX secolo – o li hanno indeboliti con la provvisorietà dei fondamenti, o li hanno macchiati con la bruma degli errori di rotta. Questa intuizione del sogno come identità dell’universo ha pervaso l’intelligenza spirituale di tutti gli scrittori beat generation a livelli diversi”.
Una volta Ginsberg ha chiesto a Bob Dylan cosa ne pensasse delle poesie di Kerouac. E lui gli ha risposto: Qualcuno mi ha regalato Mexico City Blues a St. Paul, nel 1959, e la prima cosa che pensato è stata che quella era la prima poesia che parlava la mia stessa lingua“.
E sono uno straniero infelice
contento di scappare per le strade del Messico
I miei amici sono morti su di me, le mie
amanti svanite, le puttane bandite,
il mio letto sbattuto e sollevato dal
terremoto – e niente erbasanta
per uno sballo a lume di candela
e sognare – solo spurghi d’autobus,
ventate polverose, e cameriere che mi sbirciano
da un buco nella porta
segretamente attizzate alla vista
degli onanisti fottenti cuscini –
Io sono la Gargolla
di Nostra Signora
che sogna nello spazio
sogni di grigia nebbia –
Il mio volto è puntato verso Napoleone
– io non ho forma –
La mia agenda è piena di DEFUNTO
non ho valore nel vuoto,
in patria senza onore, –
Il mio unico amico è un vecchio pederasta
senza macchina per scrivere
Chi, se è mio amico,
lo beccherò nel culo.
Mi resta ancora un pò di maionese,
tutta un’inutile bottiglia d’olio,
contadini mi lavano il lucernaio,
un matto si schiarisce la voce
nel bagno a fianco
cento volte al giorno
condividendo il soffitto con me –
Se mi ubriaco mi viene sete
– se cammino il piede mi cede
– se sorrido la mia maschera è una farsa
– se piango non sono che un bambino –
– se mi ricordo sono bugiardo
– se scrivo la scrittura è passata –
– se muoio il morire è finito –
– se vivo è appena cominciato –
– se aspetto l’attesa è più lunga
– se vado l’andare è andato –
se dormo la beatitudine è pesa –
mi pesa sulle palpebre –
– se vado a un cinema da poco prezzo
mi assalgono le cimici –
I costosi non me li posso permettere
– se non faccio niente
niente fa
.