L’ATTENZIONE SECONDO SIMONE WEIL

Simone Weil, unico grande spirito del nostro tempo secondo Albert Camus, si è espressa sull’attenzione, pratica attraverso cui raccogliere i frutti più profondi della nostra umanità. L’ha fatto nel suo modo incomparabile e con l’eleganza intellettuale che le appartiene: l’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto.

La sua vita è stata breve ma scandita da scelte radicali.
Dopo la laurea alla Normale di Parigi ha insegnato in alcuni licei. Ma nel 1934, l’esigenza interiore di conoscere la “condizione operaia” l’ha spinta a entrare in fabbrica, alla Renault. Abbandonando la speculazione puramente teorica, Weil si è immersa nella vita. Nel 1936 si è arruolata per combattere – tra le file anarchiche della Colonna Durruti – l’avanzata delle truppe franchiste in Spagna. Con la guerra e le leggi razziali, Weil, ebrea d’origine, viene esclusa dall’insegnamento e diventa contadina, fino alla fuga negli Stati Uniti dove conosce la povertà del quartiere di Harlem. Mai pronta ad abbandonare la lotta, torna in Europa dove muore di malattia a soli 34 anni.

Simone Weil è stata un’intellettuale sorprendente. Filosofia, religione, politica sono vita, in lei, vita attiva e la sua analisi filosofica, originalissima, sfugge alle correnti tradizionali. La sua riflessione sull’attenzione è utile a tutti noi. L’attenzione, dice la filosofia, è la forma più rara e più pura della generosità. L’attenzione serve a guarire i nostri difetti molto più della volontà.
L’attenzione è il mezzo per trasformarci.

L’attenzione è al centro degli studi. Formare l’attenzione è ciò che – secondo Weil – la scuola dovrebbe fare. Ma molto spesso viene a crearsi della confusione. Gli studenti si stancano perché il loro sforzo è uno sforzo di volontà. Formare l’attenzione è capire che l’intelligenza non può essere guidata dalla volontà: l’intelligenza si esprime nel desiderio e perché ci sia desiderio devono esserci gioia e piacere.

Da Attesa di Dio (Adelphi): Molto spesso l’attenzione viene confusa con una sorta di sforzo muscolare. Quando si dice agli allievi: “Ora state attenti”, li si vede corrugare le sopracciglia, trattenere il respiro, contrarre i muscoli. Se qualche istante dopo si domanda loro a che cosa siano stati attenti, non sono in grado di rispondere. Non hanno fatto attenzione ad alcunché. Non hanno fatto attenzione. Hanno solo contratto i muscoli.

Negli studi vi è spesso dispendio di un simile sforzo muscolare. E poiché alla fine ci si sente stanchi, si ha l’impressione di aver lavorato. Ma è un’illusione. La fatica non ha alcun rapporto con il lavoro. Il lavoro è lo sforzo utile, sia o non sia faticoso. Quando si studia, uno sforzo muscolare del genere, anche se compiuto con buona intenzione, è del tutto sterile.

La volontà, quella che, se occorre fa stringere i denti e sopportare la sofferenza, è lo strumento principale dell’apprendista nel lavoro manuale. Ma contrariamente all’opinione comune, nello studio è quasi irrilevante. L’intelligenza può essere guidata soltanto dal desiderio. E perché ci sia desiderio, devono esserci piacere e gioia. L’intelligenza cresce e porta frutti solo nella gioia. La gioia di apprendere è indispensabile agli studi come la respirazione ai corridori. Dove è assente non ci sono studenti, ma povere caricature di apprendisti che al termine del loro apprendistato non avranno neppure un mestiere.

L’attenzione è uno sforzo, forse il più grande degli sforzi, ma è uno sforzo negativo. Di per sé non comporta fatica. Quando questa si fa sentire, l’attenzione non è quasi più possibile, a meno che non si sia già molto esercitati; allora è meglio lasciarsi andare, provare a rilassarsi e cominciare daccapo dopo qualche tempo. L’attenzione è distaccarsi da sé e rientrare in sé stessi, così come si inspira e si espira.

Venti minuti di attenzione intensa e senza fatica valgono infinitamente più di tre ore d’applicazione con la fronte corrugata, che fanno dire, con la sensazione di aver fatto il proprio dovere: “Ho lavorato sodo”.

Ma, al di là delle apparenze, è molto piu’ difficile. Nella nostra anima c’è qualcosa che ripugna la vera attenzione molto più violentemente di quanto alla carne ripugni la fatica. Questo qualcosa è molto più vicino al male di quanto non lo sia la carne. Ecco perché ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po’ di male in se’ stessi. Un quarto d’ora di attenzione così orientata ha lo stesso valore di molte opere buone.

L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto.