HIPSTER E NEW WAVE ITALIANA. DAL NUOVO LIBRO DI LUCA BEATRICE, CANZONI D’AMORE
La musica che ascoltiamo è rivelatrice dei tempi che stiamo attraversando: parte da questa suggestiva teoria l’affascinante viaggio nella storia del nostro paese in cui ci conduce Luca Beatrice. Una canzone per ogni anno, o quasi, dai Sessanta a oggi, per costruire una storia della vita sentimentale degli italiani. E quali sono i nostri tempi? Ce lo spiega nelle pagine del suo libro, Canzoni d’amore (Mondadori), dando anche ( e finalmente) un definizione di “hipster” e surfando tra le canzoni che hanno fatto e stanno facendo la giovane storia di questi ultimi anni. Ecco un brano in anteprima, in attesa dell’incontro di stasera al Circolo dei lettori, mercoledì 23 maggio ore 21, con l’autore e Selvaggia Lucarelli *.
Barbe lunghe e non curate ad arte; cappotti ampi in lana spigata o pied de poule, maglioni e cardigan oversize, pantaloni stretti e risvoltati al fondo a lasciare il calzino colorato in vista. Tutte tracce inequivocabili dell’hipsteria collettiva.
“Hipster” è termine che deriva dalla cultura nera-americana degli anni Cinquanta e non definisce né una moda né una tendenza particolare, ma più che altro un atteggiamento, snob, ricercato e deliberatamente démodé. Espressione dell’ambiente medio o alto borghese, evoluzione dei bobos progressisti sensibili all’ambiente, blandamente di sinistra, i nuovi hipster degli anni Dieci contagiano, con la loro estetica così libera eppure studiata nei particolari, gli ex ragazzi quarantenni e cinquantenni che, rispetto ai giovani, hanno un maggior potere d’acquisto e riescono a spendere abbastanza soldi per marchi di ricerca senza brutalizzarsi con il mass market, tra i peggiori effetti della globalizzazione.
C’è chi li accusa di indirizzare il loro sguardo al passato, eppure da tempo non si vedeva uno stile così riconoscibile, figlio di tempi assai confusi. Non solo moda, una micro-generazione hipster invade la letteratura, l’arte visiva e soprattutto la musica. E qui i risultati sono eccellenti, poiché dalla fine degli anni Novanta non si assisteva a un fenomeno tanto articolato e creativo nell’ambito indipendente, tra cantautorato 3.0, sonorità elettroniche, pop non convenzionale. Gli autori dei testi usano un linguaggio sintetico, in linea con la semplicità dell’sms. Se la musica viaggia in rete, è altrettanto cool comprare il vinile e riesumare il vecchio giradischi, il che non è affatto una contraddizione.
Da nord a sud c’è una nuova Italia musicale di assoluta qualità. Da Ivrea arriva Cosmo, dapprima voce dei Drink to Me, poi solista con gli album L’ultima festa (2016) e Cosmotronic, uscito nel gennaio 2018. In Emilia Lo Stato Sociale e Dente rappresentano due modi diversi di pensare la canzone d’autore: i primi, bolognesi, fondono indie ed elettropop senza escludere testi più impegnati, il secondo, da Fidenza, lavora su frammenti di ironia con un linguaggio volutamente incompleto e smozzicato.
È Roma, però, ad affermare una vera e propria scuola, vent’anni dopo i cantautori del Fico. Calcutta, nome d’arte di Edoardo D’Erme (classe 1989), dichiara di ispirarsi a Battisti, Dalla, Carboni, ma anche a Caetano Veloso. Dal disco d’esordio, Mainstream (2015), al singolo Orgasmo, pubblicato nel dicembre 2017, la maturazione è evidente, anche per l’intervento di Niccolò Contessa che, dopo essersi inventato il misterioso gruppo I Cani, si è specializzato nel produrre diversi colleghi giovani. E tutto ciò che tocca lo trasforma in oro. Con questo strano pseudonimo Contessa, classe 1986, già nel 2010 carica su SoundCloud due canzoni, I pariolini di 18 anni e Wes Anderson, che diventano un vero e proprio fenomeno virale. A lungo tiene nascosta la sua vera identità e posta sul web solo foto di cani di varie razze. “Vediamo ogni giorno troppe band, troppi nomi, troppi servizi fotografici, troppe facce. Credo che il pubblico sia desensibilizzato all’immagine di band e alla rappresentazione classica di band, quindi conviene puntare su altro.” Con Il sorpren- dente album d’esordio de I Cani (2011) – che contiene il singo- lo manifesto Hipsteria – e i successivi Glamour (2013) e Au- rora (2016), Contessa incarna in pieno quell’estetica Young & Alternative che, sapientemente, metterà a disposizione degli amici.
Altre voci si alzano dal sud. Coez, nato nel 1983 a Nocera Inferiore ma stabilmente a Roma, sbanca nel 2017 con il singolo La musica non c’è (musica di Contessa). Liberato, che mantiene la propria identità avvolta nel mistero – come Banksy e Burial – canta in napoletano con lo stile dei neome- lodici su basi r’n’b e hip hop. Fenomeno web, milioni di visualizzazioni, nessuna casa discografica, senza uffici stampa, a tratti irresistibile, “piccolo maestro di affabulazione e marketing, musicofilia e intelligenza commerciale”. Brunori Sas, nato a Cosenza nel 1977, riconosciuto dalla critica tra i cantautori più significativi dell’attuale panorama, racconta di piccole paure quotidiane, “con la naturale tendenza a cer- care un riparo, un rifugio, un luogo in cui sentirsi al sicuro”.
Si tratta dunque, finalmente, di new wave della musica italiana? Con cautela Gino Castaldo spiega: “Niente eccessi di ottimismo, ce ne vuole per parlare di rivoluzione, eppure arrivano segnali straordinari. Sta tornando in auge il meraviglioso e incomparabile potere della musica e anche l’antico principio di responsabilità artistica che negli ultimi anni sembrava del tutto appassito. Detto ancora più banalmente: ricominciano a circolare belle canzoni, il che è una notizia. Canzoni vere, sentite, con idee, emozioni e qualcosa da dire… Se ne è accorto anche un grande vecchio come Gianni Morandi: dopo tanto tempo c’è un mondo di canzoni interessanti, ci sono autori giovani, forti, con tante idee nuove. Le ragioni sono tante, ma di sicuro c’è di mezzo la pressione di un nuovo pubblico di giovani che pretende musica identitaria, autentica, giovani che alla televisione stanno sostituendo il linguaggio multimediale e orizzontale della rete. E grazie a questo le cose accadono a un ritmo elevatissimo”.
(…)
continua in libreria 🙂
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