AMORE È INCONTRO TRA SACRO E SEGRETO. MARGUERITE YOURCENAR

Marguerite Yourcenar (8 giugno 1903 – 17 dicembre 1987) ha scritto Memorie di Adriano, opera stupenda scritta in forma di epistola scritta dall’ormai anziano imperatore all’amico assai più giovane, Marco Aurelio. Pubblicata nel 1951, vincitrice del Premio della critica, racconta proprio della vita pubblica e di quella privata di Publio Elio Traiano Adriano, le sue riflessioni e trionfi, la sua passione per la poesia, musica e filosofia, l’amore per l’amante Antinoo.

Probabilmente la scrittrice francese, nata Marguerite Antoinette Jeanne Marie Ghislaine Cleenewerck de Crayencour, lavorò a questo fondamentale romanzo tra il 1924 e il 1929. Nel 1912 era arrivata a Parigi, dove aveva iniziato i suoi studi letterari guidata da precettori privati e dal padre (perse la madre dieci giorni dopo essere nata), e proprio in quegli anni pubblica il suo primo libro in versi, Le jardin des Chimères, con lo pseudonimo di Marg Yourcenar, a soli diciassette anni. E nel 1924 comincia, proprio in Italia, la stesura dei primi Carnet des Notes per le Mémoires, che confluiranno nel romanzo che l’ha resa celebre e del quale oggi vi proponiamo un estratto in lettura, dall’edizione Einaudi, in cui la scrittrice esplora il sentimento amoroso, con grazia e potenza, tratti distintivi della sua penna.

«Confesso che la ragione si smarrisce di fronte al prodigio dell’amore, strana ossessione che fa sì che questa stessa carne, della quale ci curiamo tanto poco quando costituisce il nostro corpo, preoccupandoci unicamente di lavarla, di nutrirla, e fin dov’è possibile – d’impedirle che soffra, possa ispirarci una così travolgente sete di carezze sol perché è animata da una individualità diversa dalla nostra, e perché è dotata più o meno di certi attributi di bellezza su i quali, del resto, anche i giudici migliori son discordi. Di fronte all’amore, la logica umana è impotente, come in presenza delle rivelazioni dei Misteri: non s’è ingannata la tradizione popolare, che ha sempre ravvisato nell’amore una forma di iniziazione, uno dei punti ove il segreto e sacro s’incontrano. E per un altro aspetto ancora, l’espressione sensuale si può paragonare ai Misteri, in quanto il primo contatto appare al non iniziato un rito più o meno pauroso, violentemente diverso dalle funzioni consuete del sonno, del bere e del mangiare, oggetto di scherno, di vergogna o di terrore. L’amore, non altrimenti della danza delle Menadi e del delirante furore dei Coribanti, ci trascina in un universo insolito, ove in altri momenti è vietato avventurarci, e dove cessiamo di orientarci non appena l’ardore si spegne e il piacere si placa. Avvinto al corpo amato come un crocifisso alla sua croce, ho appreso sulla vita segreti che ormai si dileguano nei ricordi, per opera di quella stessa legge che impone al convalescente guarito di dimenticare le verità misteriose del suo male; al prigioniero, una volta libero, di obliare la tortura, e al trionfatore la gloria, quando l’ebbrezza del trionfo è svanita. A volte, ho sognato di elaborare un sistema di conoscenza umana basata sull’erotica: una teoria del contatto, nella quale il mistero e la dignità altrui consisterebbero appunto nell’offrire al nostro Io questo punto di riferimento d’un mondo diverso. In questa filosofia, la voluttà rappresenterebbe una forma più completa, ma anche più caratterizzata dei contatti con l’Altro, una tecnica in più messa al servizio della conoscenza del non Io. Anche nei rapporti più alieni dai sensi, l’emozione sorge o si attua proprio nel contatto: la mano ripugnante di quella vecchia che mi sottopone una supplica, la fronte madida di mio padre nei suoi ultimi istanti, la piaga detersa di un ferito, persino i rapporti più intellettuali e più anodini si istituiscono attraverso questo sistema di segnali del corpo. Con la maggior parte degli esseri umani, i più lievi, i più superficiali di questi contatti, bastano o persino superano l’attesa; ma se essi si ripetono, si moltiplicano attorno a un unico essere sino ad avvolgerlo interamente; se ogni particella del colpo umano si impregna per noi di tanti significati conturbanti quante sono le fattezze del suo volto; se un essere solo, anziché ispirarci tutt’al più irritazione, piacere o noia, ci insegue come una musica e ci tormenta come un problema, se trascorre dagli estremi confini al centro del nostro universo, e infine ci diviene più indispensabile che noi stessi, ecco verificarsi il prodigio sorprendente, nel quale ravviso ben più uno sconfinamento dello spirito nella carne che un mero divertimento di quest’ultima».