DI QUANDO MELVILLE SCRISSE A HAWTHORNE

Nathaniel Hawthorne, l’autore di La lettera scarlatta, nasceva il 4 luglio 1804 a Salem, nella Nuova Inghilterra che prendeva forma al di là dell’Oceano Pacifico. Raffinatissimo gentiluomo, irreprensibile nelle maniere, fece la conoscenza di un altro scrittore, Hermann Melville, a Berkshire, che, dopo chiacchierate intese seppur riservate, di lì a poco si accorse di stimarlo moltissimo, di ammirarlo, fino a dedicare proprio a lui il suo capolavoro, Moby Dick. A testimonianza, una lettera datata 29 giugno 1851.

Mio caro Hawthorne,

l’aria limpida e la finestra aperta mi invitano a scriverti.
Per un periodo sono stato così occupato da mille cose che ho quasi dimenticato quando ti ho scritto l’ultima volta, e se ho ricevuto risposta. Questa stagione più convincente mi ha richiamato ormai da settimane da alcuni capricci e dolenti chimere, del tipo che gli uomini come te e me e alcuni altri, formando una catena di stazioni di Dio intorno al mondo, devono essere contenti di incontrare di tanto in tanto, e combattere nel modo migliore possibile. Dal momento che sei stato qui, ho costruito alcune baracche di case (connesse con la vecchia) e allo stesso modo alcune baracche di capitoli e saggi. Ho arato e seminato e sollevato e dipinto e stampato e pregato, – e ora inizia un periodo meno movimentato, per godere della tranquilla prospettiva delle cose da una grande piazza a nord della vecchia casa colonica.Non del tutto ancora, però, sono senza qualcosa di urgente da sbrigare. La Balena è solo per metà in stampa; per questo, stanco per il lungo ritardo degli stampatori, e disgustato dal caldo e dalla polvere della fornace babilonese di New York, sono tornato in campagna per sentire l’erba – e terminare il libro sdraiato su di essa, se possibile. — Sono sicuro che perdonerete tutto questo parlare di me, perché se io dico così tanto su questa testa, di sicuro tutto il resto del mondo pensa a se stesso dieci volte tanto. Parliamo, anche se mostriamo tutti i nostri difetti e debolezze, – perché è un segno di forza essere debole, riconoscerlo, e buttarlo fuori, – non in maniera arrogante e ostentatamente, però, ma incidentalmente e senza premeditazione. — Ma io sto cadendo nella mia vecchia fobia – la predicazione. Sono occupato, ma non lo sarò molto lungo. Venite a trascorrere una giornata qui, se potete e volete; se no, rimanere a Lenox, e Dio vi dia lunga vita. Quando sarò abbastanza libero dei miei impegni attuali, ho intenzione di costringere me stesso a fare un giro e una visita a voi. Tenete pronta una bottiglia di brandy, perché ho voglia sempre di bere quella bevanda eroica quando parliamo di inutili questioni ontologiche insieme. Questa è una lettera piuttosto folle per certi aspetti, mi rendo conto. Se è così, attribuiscilo agli effetti intossicanti di quest’ultimo fine di giugno operanti su un temperamento molto suscettibile e debole verso l’avventura.
Vuoi che ti invii una pinna della Balena come assaggio? La coda non è ancora cotta – anche se il fuoco dell’inferno nel quale l’intero libro sta grigliando potrebbe non irragionevolmente aver cucinato tutto prima di questo. Questo è il motto del libro (quello segreto), – Ego non baptiso te in nomine – ma scopri il resto da solo.

Hermann Melville