CARA ITALIA, COME STAI? RISPONDONO CINQUE SCRITTORI

L’Italia è cambiata parecchie volte nel Novecento, tra le due guerre mondiali, nel dopoguerra, e poi il boom economico, gli Anni Sessanta, i Settanta, gli Ottanta, fino a oggi e gli scrittori hanno rappresentato, e continuano a farlo, queste trasformazioni, hanno cercato di intuirne origini ed esiti, per fissare le coordinate delle mutazioni del Paese innanzi all’avanzare della modernità.

Al Circolo, si comincia a novembre, Giuseppe Culicchia propone una visione inedita e profonda del nostro Paese, per guardarlo “dalla luna”, ovvero da un punto di vista privilegiato, quello di cinque scrittori di ieri e di oggi che ne hanno scandagliato l’animo al di là dei luoghi comuni: sono Ennio Flaiano, Luciano BianciardiPier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Francesco Piccolo. È Cara Italia e non si comincia da libri ma da riflessioni e biografie, per andare oltre le consuete discussioni sul carattere della nazione, di questo “popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati”, come scrisse Ennio Flaiano.

E proprio Ennio Flaiano, giornalista, critico teatrale e cinematografico, oltre che sceneggiatore di alcuni fra i più importanti film del dopoguerra come La dolce vitae I vitellonidi Federico Fellini, è il primo protagonista di Cara Italiagiovedì 8 novembre, ore 12 al Circolo dei lettori. Giuseppe Culicchia comincia la serie di incontri da questa frase emblematica dello scrittore: «L’Italia è un Paese dove sono accampati gli Italiani». È una delle sue sentenze, rivelatrice di quel suo «discorrere erratico», secondo la definizione di Giorgio Manganelli, spesso indecifrabile, segno distintivo della scrittura breve di Flaiano, capace di trovare nella misura del frammento un’arma tagliente.

Luciano Bianciardi è il secondo scrittore chiamato da Giuseppe Culicchiaa descrivere l’Italia, giovedì 6 dicembre, ore 21 al Circolo dei lettori. Laureato in filosofia, professore di liceo e direttore della Biblioteca Chelliana di Grosseto, ha scritto, insieme a Carlo Cassola, I minatori della Maremma, inchiesta pubblicata su L’Avanti! e poi raccolta in volume per Laterza nel 1956. Trasferitosi a Milano nel 1954, Bianciardi ha lavorato come redattore, giornalista, traduttore dall’inglese, sceneggiatore: tra le sue numerose opere vanno ricordate: Il lavoro culturale (1957) e  La vita agr a(1962). Nel primo, lo scrittore ha ripercorso le tappe di formazione di un intellettuale della provincia italiana tra l’immediato dopoguerra e gli anni cinquanta, nel secondo, largamente autobiografico, libro che gli portò il successo, racconta di sé, dell’abbandono della provincia per approdare a Milano, del desiderio doppio e contraddittorio di far esplodere il sistema e di appartenervi. È il ritratto più compiuto delle conseguenze umane e sociali del boom economico italiano, ricco di una scrittura irrequieta, precisa, impossibile da imbrigliare. Punto di partenza della lezione spettacolo? Una frase di Bianciardi: «Io non capisco tanta gente che sgobba per farsi la casa bella nella città dove lavora, e quando se l’è fatta sgobba ancora per comprarsi l’automobile e andare via dalla casa bella», tratta appunto da La vita agra.

A inaugurare il nuovo anno, Giuseppe Culicchiaha scelto lo scrittore icona per eccellenza: Pier Paolo Pasoliniè la voce da interrogare giovedì 17 gennaio, ore 21al Circolo dei lettori. Icona, sì, ma non intoccabile, perché ciò che Pasolini ha scritto è materia viva e incandescente, utile oggi come ieri. Come domani. Lo spunto per partire è questa sua sentenza scelta dalle Lettere Luterane: «L’Italia è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue. Ma i cittadini italiani non sono da meno», che sembra profeticamente anticipare l’oggi, la violenza e la barbarie con cui i cittadini italiani si esprimono sui social, come giustizieri del web, tra insulti e minacce, senza nessuna maschera, privi di pudore.

Penultima voce, quella di Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano, il politico, che esordì in poesia con Favole della dittaturanel 1950, ma che presto scelse la prosa, anzi: «una materia saggistica che assume i modi del racconto», secondo la sua definizione. Questa direzione è subito evidente fin da Le parrocchie di Regalpetra (1956) e Gli zii di Sicilia (1958), che mostrano come gli spunti di cronaca isolana si sappiano fare pretesto e cornice per indagare sul costume sociale e le sue degenerazioni. Esempi ancor più compiuti in tal senso sono Il giorno della civetta (1961) e A ciascuno il suo(1966), che affrontano il tema della mafia, i suoi delitti e le eterne connivenze fornite da un abito mentale e culturale di condiscendenza. La frase di Sciascia che dà il via alla lezione-spettacolo di Giuseppe Culicchia,giovedì 7 febbraio, ore 21 al Circolo dei lettori, è «Forse tutta l’Italia sta diventando Sicilia. Sale come l’ago di mercurio di un termometro questa linea della palma. Il popolo cornuto era e cornuto resta», tratta da Il giorno della civetta.

Ultimo, uno scrittore di oggi, è Francesco Piccolo, da interrogare a partire dal romanzo con cui ha vinto il Premio Strega, ovvero Il desiderio di essere come tutti(Einaudi): «A noi della sinistra italiana, nella sostanza, non piacciono gli Italiani che non fanno parte della sinistra italiana. Non li amiamo. Sentiamo di essere un’oasi abitata dai migliori, nel mezzo di un Paese estraneo. Di conseguenza, sentiamo di non avere nessuna responsabilità», questa la frase di partenza, tratta proprio dall’ultimo romanzo, scelta da Giuseppe Culicchia  per chiudere il ciclo di lezioni-spettacolo Cara Italia, giovedì 7 marzo,ore 21al Circolo dei lettori.

Ingresso singolo reading € 5 | Carte Smart 3
Carte Plus ingresso gratuito