DALLE LETTERE DI GUSTAVE FLAUBERT

Gustave Flaubert, autore di quello che Thibaudet definì – in Storia della letteratura francese (1936) – il più celebre dei romanzi francesi, ovvero Madame Bovary, è a nato a Rouen il 12 dicembre 1821, il padre era chirurgo, la  madre ricca proprietaria terriera.

Questo autore così geniale e fondamentale ha cominciato a scrivere fin da giovane. Di uno dei suoi incontri adolescenziali rimane traccia in uno dei suoi celebri romanzi, L’educazione sentimentale: si tratta di una ragazza, Elise Foucault, della quale si innamorò, una passione mai soddisfatta. A Parigi, Flaubert cominciò a studiare legge, ma senza passione, gli erano più consoni gli ambienti letterari e artistici dell’epoca.

Nella casa di Croisset dove si trasferì dopo la morte del padre con il resto della famiglia, scriverà tutti i suoi libri più famosi. Ma Flaubert è autore anche di numerose lettere, ha scritto soprattutto a Louise Colet, anche lei scrittrice, che frequenta fino al 1855. Le lettere dicono molto del suo carattere, delle sue opinioni sui classici e contemporanei.

I grandi geni non hanno bisogno di fare dello stile; sono forti a dispetto di tutti gli errori, e grazie ad essi. Ma noi, i piccoli, valiamo soltanto per la completezza dell’esecuzione. In questo secolo, Hugo sconfiggerà tutti, per quanto sia pieno di cose pessime; ma che respiro! che respiro! Azzardo qui una dichiarazione che non oserei dire in nessun posto: cioè che i grandi uomini spesso scrivono molto male, e tanto meglio per loro”.

Lettera del 25 settembre 1852 a Louse Colet 

“Che cosa c’è di costruito peggio di alcune cose di Rabelais, di Cervantes, di Molière e di Hugo? Ma che improvvisi colpi di genio! Che potenza in una sola parola! Quanto a noi, dobbiamo ammassare l’uno sull’altro un mucchio di piccoli ciottoli per costruire le nostre piramidi che non valgono nemmeno la centesima parte delle loro, che sono intagliate in un unico blocco. Ma voler imitare i procedimenti di quei geni, significherebbe perdersi. Sono grandi, invece, perché non hanno procedimenti”.

Lettera del 27 marzo 1853 a Louise Colet

“Sento di non avere la forza fisica di pubblicare, di andare dallo stampatore, di scegliere la carta, di correggere le bozze, ecc. Tanto vale lavorare solo per sé. Si fa come si vuole e sulla base delle proprie idee. E poi, il pubblico è così stupido! E poi, chi è che legge? E che cosa si legge? Che cosa si ammira? La terra trema sotto di noi. Dove trovare il nostro punto d’appoggio, anche ammesso che abbiamo la leva? Quel che ci manca, a tutti, non è lo stile, né quella flessibilità dell’archetto e delle dita chiamata talento. Noi abbiamo un’orchestra numerosa, una tavolozza ricca, risorse di ogni tipo. In fatto di trucchi e di astuzie, ne sappiamo molto di più di quanto, forse, se ne sia mai saputo. No, quel che ci manca è il principio intrinseco, l’anima della cosa, l’idea stessa del soggetto”.

Lettera del 4 giugno 1850 a Louis Bouilhet