IL NATALE IN GUERRA DI PRIMO LEVI
L’ultimo Natale di guerra di Primo Levi è una raccolta di 26 storie in cui lo scrittore descrive le esperienze della fine della guerra, dal suo punto di vista, quello di deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. In una scena, l’autore descrive l’arrivo di un pacco alimentare, che permette a lui e al suo amico Alberto di passare meglio un paio di settimane. Quando il pacco viene rubato, lo scrittore è contento perché almeno un altro uomo affamato poteva festeggiare.
Il libro
Un canguro che partecipa a una cena della ricca borghesia, un extraterrestre che intervista un passante, due abitanti di un mondo bidimensionale, distruttori apparsi dal nulla che disfano un treno in una notte, un impiegato che per lavoro assegna cause di morte, una ragazza a cui spuntano le ali.
Sono questi alcuni dei protagonisti del libro di racconti di Primo Levi che comprende storie autobiografiche ambientate nel Lager, racconti fantastici che mostrano invece un lato inconsueto della vena narrativa dello scrittore, racconti di atmosfera onirico-kafkiana, e anche racconti di animali costruiti come apologhi morali. Un doppio passo che attraversa sia i piú inquietanti lati oscuri dell’animo umano, sia i meccanismi combinatori della natura osservati con distaccata, ma divertita ironia. Nella Postfazione Marco Belpoliti ripercorre le ragioni di questo libro in fieri interrotto dalla morte dello scrittore, consegnando al lettore un’opera che conferma la grandezza di Levi nell’arte del racconto.
Un estratto
«Fu un Natale memorabile per il mondo in guerra; memorabile anche per me, perché fu segnato da un miracolo. Ad Auschwitz, le varie categorie di prigionieri (politici, criminali comuni, asociali, omosessuali, ecc.) potevano ricevere pacchi dono da casa, ma gli ebrei no. Del resto, da chi avrebbero potuto riceverne? Dalle loro famiglie sterminate o rinchiuse nei ghetti superstiti? Dai pochissimi sfuggiti alle razzie, nascosti nelle cantine, nei solai, atterriti e senza quattrini? E chi conosceva il loro indirizzo? A tutti gli effetti, noi eravamo morti al mondo. (…) Non eravamo più soli: un legame col mondo di fuori era stabilito. E c’erano cose deliziose da mangiare per giorni e giorni. Ma c’erano anche problemi pratici gravi, da risolvere all’istante: ci trovavamo nella situazione di un passante a cui venga donato in piena strada un lingotto d’oro. Dove metterlo? Come conservarlo? Come sottrarlo alla cupidigia degli altri? Come investirlo? (…) Il resto non era del tutto sprecato, qualche altro affamato stava festeggiando il Natale a spese nostre, magari benedicendoci. E comunque, di una cosa si poteva essere sicuri: era quello l’ultimo Natale di guerra e di prigionia».