TRE POETESSE CHE AMIAMO. SONO TUTTE DONNE, CI SARÀ UN PERCHÈ

La Giornata Mondiale della Poesia si celebra ogni anno il primo giorno di primavera. È stata istituita dall’UNESCO, perché l’espressione poetica è riconosciuta come luogo del dialogo, della comunicazione e della pace. E noi, come la celebriamo? Raccontandovi di tre poeti che secondo noi hanno detto molto della vita, esplorandola nelle sue pieghe e oscurità, nei suoi bagliori fulminanti, nelle sue promesse e speranze. Sono tutte donne, ci sarà un perché.

La prima è Amelia Rosselli.
La sua vita  inizia sull’isola di Lipari dove viene concepita. È il 1929. Il padre, Carlo Rosselli, antifascista, è stato condannato al confino, imprigionato alle Eolie. Si trovava sull’isola insieme alla madre di Amelia, Marion Cave, socialista e attivista inglese. Hanno già un bambino, si chiama John, detto Mirtillino, nato poco dopo il matrimonio, a Genova, una manciata di anni prima. I novelli sposi hanno abitato per un po’ a Milano, negli anni in cui il fascismo ha finito di inasprire la lotta contro i dissidenti: Turati, Pertini e Olivetti partono per Parigi. Carlo e Marion rimangono in Italia. La sua vita di Amelia Rosselli finisce nel cuore di Roma. L’11 febbraio 1996 Amelia Rosselli si getta dal ballatoio della sua mansarda di via del Corallo, una strada del Rione Parione, vicinissima a Piazza Navona. Quella casa era piccola e angusta, fatta di una stanza e di un corridoio. Ha telefonato alla sua amica Giacinta che non ha fatto in tempo ad arrivare. In mezzo ci sono sessantasei anni di viaggi, studi puntuali e mai esausti, amori difficili, ricoveri in clinica, voci, e poesia. Amelia Rosselli ha costruito con rigore e grazia le più belle poesie del ‘900 italiano, ed è l’unica donna a essere inclusa nell’antologia curata da Mengaldo.

Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora
tutto il mondo è vedovo se è vero! Tutto il mondo
è vero se è vero che tu cammini ancora, tutto il
mondo è vedovo se tu non muori! Tutto il mondo
è mio se è vero che tu non sei vivo ma solo
una lanterna per i miei occhi obliqui. Cieca rimasi
dalla tua nascita e l’importanza del nuovo giorno
non è che notte per la tua distanza. Cieca sono
chè tu cammini ancora! Cieca sono che tu cammini
e il mondo è vedovo e il mondo è cieco se tu cammini
ancora aggrappato ai miei occhi celestiali.

da Variazioni (1960-61), in Variazioni Belliche

La seconda è Antonia Pozzi.
Nata in una famiglia milanese abbiente, ricca, il padre avvocato e simpatizzante del regime, la madre contessa, Antonia studiò al liceo Manzoni e poi si iscrisse alla Statale di Milano per studiare filologia. Lì strinse amicizia con il poeta Vittorio Sereni ma soprattutto, al liceo, si innamorò del suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi. La famiglia, naturalmente, osteggiò il loro rapporto e costrinse i due ad allontanarsi. La natura diventò presto il suo rifugio, natura sempre presente nelle sue poesie, un rifugio dal proprio ambiente familiare ma anche dal mondo che la circondava. Il suo sguardo si incupì molto presto. Poco prima di suicidarsi scrisse all’amica Elvira GandiniIl senso della vita non è più sparso, nel cervello, nelle mani, negli occhi, ma è tutto raccolto nel centro del petto, come un enorme fiore o come una corazza: e il domani non è più che portare sempre più in avanti quel fiore, sereni, eretti, per una grande strada bianca. Quando Antonia Pozzi decide di non portar più nel petto quel fiore, quando la serenità l’abbandona del tutto e al suo posto invece avverte una mortale disperazione, è mattina e nevica. Lei raggiunge l’abbazia di Chiaravalle in bicicletta e si siede poco lontano da un corso d’acqua, con sé ha delle pasticche, barbiturici. Si sdraia sulla neve, aspetta. Non muore subito, ma poche ore dopo, il padre dice a tutti che si tratta di polmonite e a lungo cerca di nascondere lo scandalo del suicidio.

Anch’io non ho radici
che leghino la mia
vita – alla terra –
anch’io cresco dal fondo
di un lago- colmo
di pianto.

La terza è Maria Luisa Spaziani.
È stata una poetessa tra le più importanti del panorama nazionale ed europeo, nonché storica della letteratura francese. Nacque a Torino il 7 dicembre 1922, e ancora studentessa cominciò a scrivere su una piccola rivista di cui diventò direttrice, era Il Girasole, poi Il Dado, sulle cui pagine uscirono testi di Saba e Penna, di Pratolini e Virginia Woolf. A Torino studiò Lingue e si laureò con una tesi su Marcel Proust, innamorata della Francia, della sua cultura e dei suoi autori, soggiornò a Parigi dal 1953. Maria Luisa Spaziani diventò grande amica di Eugenio Montale, erano entrambi al Teatro Carignano quando si incontrarono e continuarono a frequentarsi a Milano, in coincidenza dell’inizio della sua attività di poeta. Le sue prime poesie uscirono nel 1954 per Mondadori sulla rivista Specchio, la raccolta si intitola Le acque del Sabato, che racchiude l’idea di poesia come contemplazione, riallacciandosi alla lezione leopardiana. Viaggiò negli Stati Uniti, era un  premio per giovani di talento promosso da Kissinger, e, visto che la fabbrica di suo padre era in fallimento, la giovane Maria Luisa Spaziani cominciò a lavorare come insegnante di francese in un collegio di Torino, e le piaceva moltissimo: questa felicità emerge nelle sue poesie di Luna lombarda (1959) e in Utilità della memoria (1966). Nel 1948, Spaziani sposò Elémire Zolla, studioso di esoterismo e misticismo, ma durò fino al 1960. La sua opera più celebre, che la consacrò, è Giovanna d’Arco, dove, in un intreccio di endecasillabi, ne reinventa la storia. Candidata tre volte al Premio Nobel per la Letteratura, le è stato dedicato un Meridiano, uscito nel 2012, uscito due anni prima della sua morte, a Roma, il 30 giugno 2014.

Nessuno dice mai

Nei miei vent’anni non ero felice
e non vorrei che il tempo s’invertisse.

Un salice d’argento mi consolava a volte,
a volte ci riusciva con presagi e promesse.

Nessuno dice mai quant’è difficile
la giovinezza. Giunti in cima al cammino
teneramente la guardiamo. In due,
forse la prima volta.

Immagine: henn kim