SOTTO IL CIELO D’APRILE LA MIA PACE È INCERTA. SANDRO PENNA
Sotto il cielo di aprile la mia pace
è incerta. I verdi chiari ora si muovono
sotto il vento a capriccio. Ancora dormono
l’acque ma, sembra, come ad occhi aperti.
Ragazzi corrono sull’erba, e pare
che li disperda il vento. Ma disperso
è solo il mio cuore cui rimane un lampo
vivido (oh giovinezza) delle loro
bianche camicie stampate sul verde.
Sandro Penna è stato un poeta appartato, scrisse nell’ombra e la sua opera emerse nel Dopoguerra, con le raccolte più importanti: Una strana gioia di vivere (1956) e Croce e delizia (1958). Nella sua città natale trascorse la giovinezza e nel 1929 arrivò a Roma. Scriveva poesie e, al contempo, era impiegato nei più disparati mestieri.
Fu Umberto Saba a incoraggiarlo all’inizio, i due erano molto amici. Saba scriveva a Penna: Ho copiato le tue nuove poesie in un fascicoletto che ora gira per le mani dei miei amici. Tutti quelli che l’hanno letto, Stuparic, Giotti e altri che non conosci, sono rimasti entusiasti.
Malato e vagabondo, Penna viveva in pessime condizioni e molti intellettuali dell’epoca espressero – specie su Paese Sera – l’urgenza di prendersi cura di lui, indigente. I suoi ultimi scritti uscirono postumi nel 1976, a pochi mesi della morte vennero pubblicate infatti le raccolte Stranezze e Confuso sogno.
La sua è una limpidezza che ha del miracoloso, che non si sa da dove venga. Facevano parte della sua costellazione poetica alcune stelle fisse, come Leopardi e Rimbaud, ma anche Saba stesso. Era, per se stesso il «poeta esclusivo d’amore», professato per i ragazzi, che erano marinai talvolta, garzoni, adolescenti.
Mai esclusivo, l’amore di Penna, era anche per i luoghi, sempre gli stessi: Roma con le sue strade e piazze, le buie sale cinematografiche, i bar periferici, i tram, i treni, la verde campagna, i ponti, i fiumi, i mari, la sera. Li descrive con un linguaggio fuso che prende dal dialetto, dal quotidiano, ma anche dall’aulico.