Cocktail #5

Il re Martini – quello ben secco, con il Martini versato, s’intende!

Guido passa dall’altra parte del bancone. Carica uno shaker di ghiaccio. Ci versa dentro del Martini extra dry.
«Anche se preferisco il Noilly Prat» dice, e mescola veloce e delicato con uno stirrer. Poi versa il contenuto… nel lavabo.
«Ma come, lo butti?» gli chiedo
«Essì, il Martini, il vermut dico, deve solo lasciare il suo sentore sul ghiaccio. Adesso verso sul ghiaccio un buon gin – questo è il Tanqueray Ten, uno tra i miei perfetti. Sennò il Tanqueray, il Plymouth, il Bombay o, alla meno peggio, il Gordon’s che si trova dappertutto. I più aromatici botanical, tipo l’Hendrick’s o il Monkey 47, ma ce ne sono tanti, tipo il meraviglioso Number 3, quelli meglio berseli in purezza. E adesso attenzione: con buona pace di Sir Ian Fleming e del suo elegante 007, il Martini cocktail si beve stirred non shaken.
Mescolato non shakerato. Agitarlo rompe la molecola del gin, lo rende meno cristallino come invece deve essere. Il fascinosissimo William Powell non a caso diceva che un Martini lo si deve mescolare solo e delicatamente al tempo di un valzer. Prendiamo ora una classica coppa da gin – quelle piccole, beninteso! Va tenuta nel ghiaccio, prima. Le grandi tendono a riscaldarsi subito. Mentre la temperatura è essenziale in questa preparazione. Un Martini non gelato può farti assai male. Ben gelato ti manda invece in paradiso. Un mio amico che battezzai con il primo Martini, lo definì proprio così: para-di-si-a-co. Poverino adesso è morto… ma non per il Martini, eh. Verso il gin nella coppetta. Ci gratto la buccia di un limone biologico: ed ecco il meravilliouso Martini ben secco, il re dei cocktail. Quello che fece dire a Dorothy Parker: adoro farmi un Martini, due sono ancora meglio, al terzo finisco sotto il tavolo, al quarto sotto il mio cavaliere. Più paradisiaco di così?»

[Quanto sei cool. Piccola guida ai capricci del gusto (Sonzogno) di Gaetano Cappelli]