Dizionario #14

Luciano Manicardi, priore della comunità di Bose // LIMITE

Ovvero, provocazione ad andare oltre, sfida da superare, per l’uomo occidentale la cui storia è la storia di limiti geografici,astronomici, scientifici, religiosi, politici, biologici da oltrepassare, da rendere non più limitanti. Fino a sfidare il limite dei limiti, la morte, con il pensiero della amortalità. Eppure ciò che vive ha un inizio e una fine, e solo ciò che vive può anche morire. E il limite dà forma a ciò che altrimenti resterebbe informe, e dando forma, dà anche bellezza. Nell’attuale contingenza il limite sfida l’uomo imponendosi come invalicabile. Vengono ristretti enormemente gli orizzonti dell’uomo globale: strade sbarrate, viaggi preclusi, restare tra quattro mura per giorni e giorni, non varcare la soglia della propria casa, quasi che gli stipiti domestici fossero divenuti delle novelle colonne d’Ercole. Il mondo ridotto alle dimensioni domestiche. L’emergenza sanitaria impone misure limitanti ben più radicali del “limite del sabato”, il techum shabbat, ovverosia la limitazione di movimento prevista nell’ebraismo per il giorno di sabato, a ricordare che non l’agire e l’agitarsi dell’uomo manda avanti il mondo. Ci è richiesta la difficile arte di dirci dei no, di porci dei limiti e di attenerci ad essi, di non fare, di non andare, di non incontrare. Ci è imposto – paradossalmente – di esercitare l’umile mitezza, ovvero l’arte di essere più forti della nostra forza autolimitandoci. Anzi, siamo ricondotti al limite che è il corpo, impedito di toccare, abbracciare, dare la mano e che deve imparare una prossemica per niente mediterranea. Eccoci di fronte, improvvisamente, alla verità elementare del nostro corpo e alla preziosità del nostro tempo che ora possiamo cogliere, sentire, non solo veder fuggire. Ovvero, i due limiti basilari e fondanti della nostra condizione umana: lo spazio e il tempo. La sfida del limite oggi è questa: sapremo abitare il corpo e il tempo? Lezione di essenzialità che forse ci consente di scoprire quanto Foucault ha detto del corpo stesso: spietata topia, qui e ora irrimediabile, ma anche luogo originario di ogni utopia, di ogni futuro, di ogni tempo a venire.