Parole di casa #2

Il tempo. Una questione tanto complicata quanto affascinante. Viviamo tutti nel tempo, è la misura delle cose, eppure sfugge, è sempre così inafferrabile. Si misura, ma non c’è modo di domarlo. Pensate che in alcune lingue, quali ad esempio l’ebraico, il presente come tempo verbale non esiste: si “supplisce” con un participio presente, che è però più una condizione che una azione. Perché il presente, che è poi l’unico luogo del tempo in cui possiamo abitare, è più inafferrabile che mai. Eppure il tempo è davvero “materia”, sostanza della nostra vita. Passa, ci trasforma, lascia ricordi, crea speranze, deposita rimpianti, cede il passo a nuovi propositi. 

Siamo tutti figli del tempo. E per questo val la pena raccontarlo, provare a usare ancora una volta le parole per segnare, lasciare una traccia, nel tempo.

Quante sono, poi, le letture che ci aiutano a scendere a patti con l’inafferrabilità del tempo – più che mai in questa stagione in cui è diventato preponderante il tempo lineare, quello dell’imprevedibilità, e il tempo circolare delle ricorrenze, delle stagioni, delle cose che si ripetono quasi sempre eguali a se stesse si fa, come dire, da parte. Aspetta insieme a noi che questo tempo lineare così strano e diverso e pieno di attesa torni un poco, come dire “in carreggiata”.

Carlo Rovelli, nel suo breve L’ordine del tempo, ci aiuta a capire che viviamo su una specie di tappeto volante che è l’universo, dove tempo e spazio si confondono, sono una cosa sola. Proprio come diceva il caro vecchio Albert Einstein.

Ma dobbiamo raccontarlo, no, questo tempo? E allora ecco che ci aiuta Andrea Moro, neuroscienziato e linguista, con il suo Parlo dunque sono: il linguaggio è il nostro privilegio, ciò che distingue l’uomo dal resto del creato. È anche la struttura della nostra mente, prima ancora che uno strumento di comunicazione. Parliamo, e raccontiamo, perché siamo quello che siamo. In altre parole, la grammatica è la forma del nostro cervello, dunque facciamo bene a studiarla, e a farla studiare ai nostri ragazzi…

La grammatica ci serve anche, in fondo, per fare i conti con il tempo. Quello che passa, quello che verrà. Dentro e fuori di casa.

Infine, se di tempo parliamo, non si può non parlare di strumenti del tempo. L’orologio di Carlo Levi, del mio amato Carlo Levi, è un racconto autobiografico, è il racconto collettivo dell’indomani della guerra. È la storia tutta personale di un orologio rotto, della ricerca di un rimedio, di un ritorno al mondo, alla vita. È, non ultimo, una lettura perfetta per questi tempi di casa, perché in ogni pagina ci sono orizzonti che si aprono, cieli immensi, c’è quell’aria aperta che all’autore, così come a tutti allora, era stata negata per anni, dentro la guerra.