#21 Ancora poche luci accese nelle strade | Antonella Anedda

Dicembre, non ancora Natale, e neppure Hanukkàh.
Ancora poche luci accese nelle strade,
nessuna slitta con renne sui vetri dei negozi.
Al posto della neve pioggia nera battente,
a cui sfuggire mentre i passanti ci respingono.
Niente abeti, ma platani macchiati dal loro cancro bianco.
Può stupire non associare tutto questo alle tenebre,
al vuoto, alla paura. Eppure il buio non è buio,
l’acqua non è disagio, né l’indifferenza un’offesa.
Succede a volte fino a che siamo vivi,
di provare una pace inspiegabile. Forse la letizia
di cui parlano i santi e che non chiede niente,
è solo attenta, premuta sulla terra, distante dalle stelle.

Antonella Anedda, Dicembre da Historiae (Einaudi)

La poesia di Antonella Anedda è caratterizzata da sempre da una specie di sguardo a raggi infrarossi, da una capacità percettiva in grado di illuminare figure dell’invisibile, di evocare assenze e mancanze. E anche in questo libro, raccontando le tragedie dei migranti affogati nei nostri mari o la vita di chi va a cercare qualche avanzo nei cassonetti dei rifiuti, sono soprattutto le immagini a far procedere le «historiae». Immagini che riportano alla luce ciò che non si vuole vedere. Il rimosso storico è dunque al centro del libro, ma intrecciato con incursioni nella lingua sarda ed elaborazioni di lutti personali. Come se non ci fosse differenza tra pubblico e privato e l’angoscia fosse tutt’una. Ma oltre alla storia, piú della storia, ci sono la geografia e la geologia. La prima e l’ultima sezione, che incorniciano il nucleo piú politico del libro, sono dedicate a paesaggi allo stesso tempo concreti e metafisici, e alle ossa dei morti che ci ricordano l’appartenenza alla natura pietrosa dell’universo.