Lo scrittore può parlare solo di ciò che conosce. Ricordando Carlo Cassola

Carlo Cassola è nato a Roma il 17 marzo 1917. La madre è originaria di Volterra mentre il padre è lombardo, militante socialista e redattore dell’Avanti. Cassola rappresenta uno dei più begli esempi di narrativa italiana del Novecento.

Come diventò scrittore? Racconta lui stesso: “La vocazione alla letteratura mi nacque nell’estate del ’35, quando avevo 18 anni. Da allora non ho mai avuto altra ambizione che quella dello scrivere… lo scrittore può parlare solo di ciò che conosce, la propria vita; poiché la mia vita è Cecina, io parlo di Cecina“.

Si iscrive alla Facoltà di Legge dell’Università di Roma nel 1935, quando soffia il vento del colonialismo italiano. Non è entusiasta della guerra, anzi. È la Toscana, specialmente la Maremma, a diventare la sua patria, sia poetica che spirituale. Lì si trasferisce nel 1940, arruolandosi nella file della Resistenza. Dopo la guerra e dopo la Liberazione Cassola si iscrive al Partito d’Azione.

I suoi modelli letterari sono Marcel Proust e James Joyce che ispirano opere come La visita (1942). Cassola aderisce al neorealismo con Fausto e Anna, invece, libro del 1952, ma anche con Il taglio del bosco (1954) e con La ragazza di Bube (1960) con cui vince il Premio Strega.

Proprio da La ragazza di Bube è tratta la citazione di qui sopra, un romanzo scritto tra il 1958 e il 1959, diventato film con la regia di Luigi Comencini nel 1963. È un libro che segna una profonda cesura nella narrativa italiana del dopoguerra: benché ispirato a una vicenda realmente accaduta, la storia si arricchisce di elementi psicologici e lirici superando le istanze neorealiste, tanto per il linguaggio quanto per il rifiuto dei dogmatismi ideologici. “Il romanzo” sostiene infatti Cassola “viene prima di ogni interpretazione della realtà, è la ricerca continua della verità degli uomini.”

Lo trovate per Mondadori.
Foto Wikipedia.