Clelia Marchi, la donna che scrisse la sua vita su un lenzuolo
Dopo la morte improvvisa del marito, Clelia Marchi non riesce più a dormire. Ha sempre abitato a Poggio Rusco, dov’è nata il 19 aprile 1912. Insieme, hanno costruito una vita: il lavoro agreste, la loro casa, otto figli. Hanno condiviso tutto e ora lui, da un giorno all’altro, non c’è più.
Clelia si sente come “una vite senza l’albero”, svuotata e prossima alla depressione. Ma a questo non vuole arrivare. Per la spietata saggezza delle contadine la depressione è un lusso che non ci si può concedere. Quindi, per occupare le ore insonni, comincia a scrivere; riempie in pochi mesi più di una ventina di quaderni e quando una notte la carta in casa finisce, prende le lenzuola – quelle del corredo nuziale, che aveva diviso con suo marito nelle occasioni speciali – e lì prosegue “la storia della gente della sua terra, riempiendo quel lenzuolo di scritte, dai lavori agricoli agli affetti”. Cuce un’immaginetta sacra al centro e ai lati fissa due fotografie, la sua e quella del marito, circondate da inchiostro rosso.
Dal 1972 al 1985 Clelia Marchi si dedica ogni notte al suo arazzo funebre, a quel monumento decorativo che non riesce a leggere “senza che le cadono le lacrime”. Un’autobiografia che somiglia a Terra Matta di Vincenzo Rabito in una versione femminile, dove Marchi ricorre a uno dei tradizionali mezzi espressivi delle donne, il cucito. Questo metodo in un certo senso la legittima, la spinge a proseguire incarnando l’archetipo della Dea tessitrice, padrona del tempo e signora della saggezza.
Consapevole che non serve a nulla scrivere i propri sentimenti “se nessuno li guarda, o li legge”, Marchi sottopone il suo lavoro a Luca Formenton, nipote di Arnoldo Mondadori, che nel 1989 si trova proprio a Poggio Rusco, paese d’origine della sua famiglia. Così nel 1992 la sua opera diventa un libro, dal titolo Gnanca una busia (neanche una bugia, che trovate per il Saggiatore), accolto in Italia con grande clamore.
Oltre alla storia con il marito e al dolore della perdita, si susseguono intrecciandosi le vicende delle famiglie contadine, la natura dei rapporti tra salariati agricoli e padroni, secondo Clelia “il vero albero degli zoccoli” del suo libro, “mica ricostruzioni al cinema”. Ma per restituire davvero la grandezza di quegli uomini e di quelle donne, aggiunge ancora, ci sarebbe voluto “un lenzuolo molto più largo, lungo come il mare.“
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