Marguerite Yourcenar e il libro sulla sua delusione d’amore
Siamo intorno al 1935. Marguerite Yourcenar, nata l’8 giugno 1903 e destinata a diventare una delle maggiori scrittrici francesi, ha appena trent’anni. Lavora a un nuovo libro, lo tiene segreto, scrivendolo soffre. Soffriva anche prima, tremendamente, ma ora in modo diverso, perché sta cercando di dare una nuova forma al proprio dolore trasformandolo in qualcosa di universale.
Il mal di cuore l’ha contagiata: «L’amore è un castigo. Veniamo puniti per non essere riusciti a rimanere soli». Una vera maledizione quella che pochi anni prima la conduce a innamorarsi follemente del suo editore André Fraigneau, un sentimento non ricambiato, una passione senza risposta, dovuta a un’impossibilità di base: l’omosessualità di André.
«Spero che questo libro non venga mai letto.» è l’incipit di Fuochi (Bompiani) la raccolta di racconti a cui Yourcenar sta lavorando lontana da tutto, e che si deciderà a pubblicare solo dopo lunghe meditazioni. E per fortuna. Se aveva paura di sbandierare la sua vita privata al mondo editoriale francese – e di sicuro l’aveva – ha preso le dovute precauzioni. Studiosa di letteratura classica greca e latina, per tradurre il suo malessere sceglie la forma più archetipica, quella del mito. Con una prosa lirica, eppure ricca di elementi di modernità, tra gli altri rivisita la Fedra criticando la versione di Seneca e propendendo per la lettura di Racine, dove Fedra n’est pas tout coupable (non è del tutto colpevole): «È per causa di lui che lei è morta; è per causa di lui che non ha vissuto. Lui non le deve che la morte; lei gli deve i soprassalti di un’inestinguibile agonia».
Ancora ripercorre la storia di Maria di Magdala (stavolta appoggiandosi al Nuovo Testamento) e trasforma Saffo in un’artista circense, «un’acrobata alle prese con le bestie del circo che se la divorano con gli occhi». Seguono una dopo l’altra le confessioni di queste donne dell’antichità, abitanti dell’inconscio della scrittrice, e utili per trovare in se stessa le giuste impressioni sul dramma amoroso. Come in Dialoghi con Leucò, opera scritta da Cesare Pavese dodici anni dopo, la Yourcenar imbocca la strada del mondo classico per proiettare i conflitti interni (ed eterni) dell’uomo, in questo caso dell’innamorato.
Frasi fulminee, criptiche, che si possono estrarre dal flusso della narrazione mantenendo l’autonomia di un verso. «Dove trovare scampo? Tu riempi il mondo. Non posso fuggire che in te stesso.», rivolgendosi a una seconda persona, cioè l’oggetto del desiderio amoroso, la Yourcenar non supplica, bensì emette sentenze con la lucidità d’un giudice che è al tempo stesso testimone: «Amare a occhi chiusi significa amare come un cieco. Amare a occhi aperti forse significa amare come un folle: accettare a fondo perduto. Io ti amo come una folle».
(Traduzione di Maria Luisa Spaziani)
Immagine: Marguerite Yourcenar-Bailleul-1982.10.04. Foto-Bernhard De Grendel / Wikipedia