Joyce Carol Oates: curiosando nella vita della scrittrice più prolifica del mondo
Joyce Carol Oates, nata il 16 giugno 1938 a Lockport, è considerata una delle maggiori scrittrici americane viventi. Dopo aver pubblicato il primo libro a venticinque anni, nel 1963, gli altri non hanno tardato ad arrivare. Oates ha frequentato ogni genere letterario (una specie di Kubrick della narrativa statunitense) e nell’arco di ottant’anni ha scritto più di 100 libri in versi e in prosa: 57 romanzi, 47 raccolte di racconti, una decina di drammi teatrali, 16 volumi di saggi, 11 raccolte di poesie, escludendo i libri per bambini e il proprio memoir autobiografico.
Oltre alla sua carriera da scrittrice, Joyce Carol Oates ha insegnato alla Princeton University dal 1978 al 2014, è professore alla University of California di Berkeley dove tiene un corso sul romanzo breve ed è membro del consiglio di amministrazione della John Simon Guggenheim Memorial Foundation. Insomma, un’esistenza che sembra essere vissuta da più persone contemporaneamente o da una sola, ma con il dono dell’ubiquità.
Chi si cela in realtà dietro ai celebri titoli e alle cariche altisonanti? Una donna molto magra, grandi occhi scuri dietro a bizzarre montature di occhiali e capelli ricci arruffati, portati corti. È spesso immortalata seduta sul divano di casa, con i muscoli tesi (come a dire “devo tornare alla scrivania, devo lavorare!”) e alle spalle un’imponente libreria. Una donna che pochi anni fa, per il suo ottantesimo compleanno, ha rivelato a Vanity Fair Italia che il libro che più l’ha influenzata nella vita è Alice nel paese delle meraviglie, mentre quello che per lei più si avvicina alla perfezione è La campana di vetro di Sylvia Plath. Amante sfegatata dei gatti, pare li fotografi ogni volta che le si presenta l’occasione; in casa di amici, per strada o acquattati su qualche tetto del New Jersey, dove abita.
Rimasta vedova nel 2008, ha vissuto una profonda crisi per la morte del marito raccontata in un articolo apparso sul New Yorker, A Widow’s story, diventato poi un libro. All’idea di innamorarsi di nuovo non aveva neanche pensato, ma appena sei mesi dopo incontra Charles Gross, professore di psicologia a Princeton, e i due decidono di sposarsi nonostante l’età (la Oates ai tempi aveva 71 anni).
Durante i mesi della quarantena ha spiegato l’effetto devastante che l’isolamento motivato da emergenze sanitarie può avere sull’attività letteraria: «Invocando distopie e scenari infernali, i narratori hanno ampiamente dato per scontato la relativa normalità del “mondo reale”; se il mondo reale diventa uno scenario infernale, replicarlo in prosa è ridondante.» e si è anche chiesta, senza riuscire a trovare una risposta, se le persone vivendo esclusivamente in solitudine abbiano continuato a esistere visto che «un’aura di irrealtà strisciava tra le nostre vite, portandoci a dubitare della nostra stessa identità.»
Per quanto riguarda più in generale il suo lavoro da scrittrice, ha rivelato al The Guardian: «Le persone credono che scriva velocemente, non è così. Ricordo che a un certo punto, riguardo al mio ultimo romanzo, mi sono chiesta ‘ma ci sto ancora lavorando?’ Per me scrivere è sempre una lenta evoluzione». Come sia riuscita a pubblicare tanto forse è un mistero anche per lei.
Oates è da sempre l’incubo dei critici e degli intervistatori più puntigliosi, perché solo in pochissimi sono riusciti a leggere dall’inizio alla fine tutta la sua produzione. Si dice che ad aver portato a termine questo compito esiste solo una persona: Greg Johnson, l’autore della sua biografia Invisible Writer, ma Oates ha scritto ancora molto altro da quando è stato pubblicato…
Immagine: Università dell’Oregon