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Noi siamo una famiglia numerosa, migliaia di fratelli, sorelle, zie e nipoti. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Non ci vediamo per Natale o Pasqua, nemmeno per i compleanni, e quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia.
La prima è quella che apre le porte, che dà inizio alla ricerca, che conduce nelle stanze, per le scale, che ogni anno è sempre la stessa, ma pronunciata con una fantasia diversa. «Benvenutei!», dice oggi, a voce alta, per arrivare lontano e ricordare a tutti noi che si è tornati a casa. Il sole passa dalle vetrate anche dopo la pioggia e, col freschetto, le storie stanno a braccetto con la luce fino a quando la musica si alza.
E se si mettessero a ballare? Forse sì, si metteranno a ballare.
Noi siamo una famiglia numerosa, con la felicità che si somiglia, e triste a modo proprio, che senza divertirsi non sa vivere, ma senza le parole non può divertirsi. C’è chi parla a voce alta, chi sussurra nell’orecchio, chi legge da solo e chi in compagnia, chi vive in Calabria, chi vive d’amore, chi suda chi lotta, chi mangia una volta. Abbiamo regole che cerchiamo con perseveranza di sovvertire, abbiamo attese, veglie ed epifanie, e se è colazione prendiamo un kebab, e se tira il maestrale salpiamo a nord-est, perché ogni nodo non è mai troppo stretto finché contiene lo spazio per l’ascolto.
Non ci vediamo spesso, ci scriviamo a modo nostro. Ci incontriamo a primavera, quando le parole diventano leggere e cambiano di significato. Allora faremo sbrodeghezzi rovesciando il caffè, faremo potacci per le scelte di cuore, cercheremo nomi nuovi per ogni desiderio che siano sbrimbri o malagrazie, poco importa. E cosa ci resta di queste parole? La gratitudine di poterle vivere, la libertà di cercare negli occhi degli altri qualcosa di simile alla nostra entropia. Perché fuori da qui le fragole sono fragole, ma per noi sono quelle che hanno un odore rosso. Sono il profumo dell’infanzia irripetibile, il cammino che affiora con fascino e dolore, la tenerezza nascosta nella polpa; e forse ancora oltre, come se custodissero il segreto di un mondo perduto. O, semplicemente, quella bellezza che ci tiene anno dopo anno sempre uniti in una sola comunità.
Relazione è una parola antica, è una scienza, di contatti, cause ed effetti, di trasformazioni. Uno è solo e finché è giovane aspetta. Poi accade che il giovane diventa vecchio, la nipote diventa nonna, l’indignazione si fa gentilezza e l’IO diventa IA. È un commesso viaggiatore che si sveglia scarafaggio, cigno, o criceto, chissà. Aspettiamo, un passo alla volta, one step beyond. Aspettiamo quella cosa che si chiama maturità e improvvisamente non siamo più soli. C’è chi cammina con noi per le strade di Torino, con la stessa curiosità. Questo significa trovarsi: in vite che non sono le nostre, nei racconti di un nonno partigiano,nei cibi mai assaggiati davvero, negli inizi mai compiuti. Negli sbagli, negli errori. Come il sole che brucia, ma in pace è una stella che ogni giorno sorge e tramonta, solo per dirci quanto è bello per lei sentirsi dire stay splesa. Noi gli giriamo intorno: con circospezione, con impazienza, con rabbia. Ma alla fine di tutto, ni scialamu.
Non sappiamo se da fuori sembriamo una famiglia perfetta o una famiglia tapina, se tra noi ci sia un amore eterno, o la cura e l’inclusione che rendono nostri questi momenti. Ma se ci fermiamo – tu e io – a guardarci con attenzione, se ci domandiamo davvero cosa siamo, vediamo qualcosa di bello. Una chimera, ma fatta di immagini, suoni, profumi: il grande disegno a cui appartenere, l’amicizia che sappiamo di condividere. Sono i legami a renderci uniti, connessi alla fantasia e allo studio di qualcuno che ha vissuto dieci, cento, mille anni prima, di cui forse conosciamo la vita, gli aneddoti, magari solo i pensieri. E corrono, per distanze apparentemente incolmabili, da un ramo sul Lago di Como alle anatre di Central Park, da una Fabbrica di cioccolato fino alla Certosa di Parma. Portando con sé pezzi di storie, che cambiano e si ricompongono in nuove forme, grazie alla libertà e al coraggio, con cui tutto si muove e trova la sua pace. Be unstoppable, ci diciamo spesso, dai, ce la possiamo fare. Noi le facciamo nostre. A volte con sincerità, a volte sentendoci un po’ ipocriti. Ma le parole leggere sanno essere pesanti, segnano il tempo, il confine che la ragione ha con la passione, la generosità con l’egoismo. Pensare e dare voce: a una rivoluzione gentile, a quello che siamo e a quello che non siamo. Indomabili onde nello spazio tra miseria e seduzione che ci ricorda di essere, semplicemente, umani. Queste parole sono la nostra famiglia. Ci rendono un unico corpo, sono il motivo per cui ci troviamo qui.
All’ultima, leggera, quella che per noi non significa mai davvero: fine.
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